Molto si dibatte, anche su queste pagine, delle difficoltà che ingombrano il mondo della scuola e delle responsabilità educative di cui è investita.
Docenti malmenati, ore di lezioni faticose, durante le quali soprattutto gli adolescenti sembrano spesso annoiati, risultati di apprendimento che vedono il nostro Paese fanalino di coda nelle classifiche internazionali.
Stiamo attraversando un passaggio epocale che mette in discussione la missione stessa della scuola. All’orizzonte qualcuno prefigura forme di descolarizzazione, seguendo le quali si potrebbero estendere anche ai più piccoli i sistemi di formazione in rete degli adulti.
Sembrerebbe insomma di poter fare scuola, di poter generare apprendimento anche senza la presenza di un adulto. E’ una strada percorribile? E’ pensabile un apprendimento tra le mura della scuola senza l’interazione con il docente? O non è vero, al contrario, che al cuore dell’esperienza di apprendimento c’è sempre una relazione tra soggetti? Tra due persone che si pongono in un rapporto asimmetrico, vista l’esperienza più matura e articolata dell’adulto?
Forse alcune delle difficoltà di cui tanto si dibatte potrebbero essere superate rimettendo al centro l’io, valorizzando le sue singolarità e rifuggendo dalla standardizzazione. Ha scritto Giovanni Lo Storto in Ero studente. Il desiderio di prendere il largo (Rubbettino, 2017):
“Il sistema formativo tradizionale si basa su due parametri fondamentali e ormai desueti: standardizzazione e conformità. La standardizzazione applicata all’accademia prevede di applicare gli stessi parametri per valutare tutti, indipendentemente dalle attitudini e inclinazioni di ciascuno. La conformità è l’opposto della diversità, e definisce una serie di non abilità sulla base di quanto prestabilito. Il risultato è un fallimento endemico di chi non è riuscito a rientrare nei canoni prestabiliti. (…) La conformità e la necessità di aderire a parametri precostituiti va contro la nostra naturale curiosità. L’essere umano è caratterizzato dalla diversità. E’ questo su cui la formazione deve andare a investire, valorizzando talenti e passioni”.
Potrebbe dunque essere venuto il momento di rimettere al centro della scuola la personalizzazione degli apprendimenti, la capacità di diversificare, non per livellare verso il basso la sfida della conoscenza, ma per valorizzare i talenti e le predisposizioni di ciascuno.
Come fare? Si tratta ovviamente di un’azione di sistema, articolata su diversi piani, che hanno a che vedere con l’organizzazione della scuola, la gestione delle risorse professionali e con altro ancora, ma che non può prescindere dall’identikit di un docente, capace di generare esperienza di apprendimento.
Quale dunque il profilo del docente capace di personalizzare la pratica didattica?
Uomo di cultura e intellettuale. Un insegnante che torna ad essere un intellettuale, un cultore della sua disciplina, un uomo di scienza, che rifugge da una professione spesso umiliata dall’opinione pubblica e resa simile a quella di un impiegato statale. Solo un intellettuale appassionato è capace di introdurre alle domande di senso che sono all’origine di ogni disciplina di studio. Non possono essere infatti evasi gli interrogativi che gli studenti pongono sul senso e sulla finalità delle diverse discipline di studio. “A che cosa serve la matematica?”, “Perché devo studiare la grammatica?”.
Solo un docente consapevole del valore epistemologico della disciplina che insegna sa restituirne il senso, all’interno di un dialogo continuo in cui anche lui impara ed è in grado di selezionare le conoscenze, non procede per accumulo, ma valorizza le esperienze e le domande dei suoi studenti.
Uomo della domanda e del desiderio. L’iter dell’apprendimento-insegnamento non può prescindere dalle domande degli studenti. La domanda è infatti espressione, rivelazione di un’io in azione, di un discente che vuole essere protagonista nel suo lavoro. La domanda non è mai banale, non fa perdere tempo, è sempre possibile ricondurla al contesto della lezione. E’ rivelatrice dei talenti e della predisposizione degli studenti, è dunque un prezioso strumento per personalizzare.
Domanda e desiderio sono espressioni irrinunciabili nell’antropologia del docente. Uomo chiamato a essere da tramite nella consegna della tradizione del passato alle nuove generazioni, il maestro non può non essere mosso dalla ricerca continua; in caso contrario proporrebbe qualcosa di morto, un’astrazione, incapace di interessare la vita dei giovani.
Uomo della cura del tempo. A scuola la standardizzazione arriva a inficiare anche il senso del tempo, come se l’ideale fosse fare tutti le stesse cose nello stesso tempo. Ma il tempo dell’apprendimento non coincide con il tempo dell’orologio, gli esseri umani sono diversi e quindi generano conoscenza con modalità e tempi diversificati. La velocità è utile esclusivamente per meccanizzare procedure o per risolvere test, ma la scuola non può esaurirsi in queste prestazioni, le sue mete sono più ambiziose. Imporre gli stessi tempi genera in alcuni casi ansia, in altri noia, non rispettando i talenti e le caratteristiche di nessuno.
Uomo della collegialità. Il docente è chiamato a lavorare in team, non è pensabile l’idea di un insegnante che si relaziona in modo esclusivo con i suoi studenti. E’ necessario condividere con i colleghi metodologie, priorità, scelte per poter indirizzare verso un apprendimento interdisciplinare e che sia in grado, come si diceva sopra, di valorizzare i talenti e le inclinazioni di ciascuno. La personalizzazione resta una chimera se non è concepita all’interno di un orizzonte di lavoro comune, di cui si concordano le priorità.
Uomo della scelta. Il docente è chiamato in continuazione alla scelta. Scelta delle informazioni e dei contenuti che valgono in un mondo in cui le informazioni si moltiplicano e sembrano equivalenti tra loro. La conoscenza nasce quando si comincia a selezionare ciò che è significativo, rilevante, che corrisponde al vero e lo si connette con quanto già conosciuto in una dinamica di sintesi continua e mai compiuta.
Uomo della valutazione. Il docente non è un controllore, ma un valutatore, cioè una persona capace di dar valore a ciò che ha davanti. La valutazione, operazione irrinunciabile per l’insegnante, non va confusa con la misurazione, la media matematica e ancor meno con il controllo di prestazioni standardizzate.
Rimettere al centro la personalizzazione vuol dire, tra le altre cose, ridare dignità alla professione docente e non c’è “buona scuola” senza buoni insegnanti. Qualsiasi riforma della scuola non può che partire da qui.