Quel giorno, alle 18 in punto, un gruppo di circa duemila persone iniziò ad accendere alcune candele nella piazza Hviezdoslav, a Bratislava. Subito dopo attaccò a cantare l’inno cecoslovacco, per poi passare all’Inno e alla Marcia Pontificale. Nel frattempo, le forze di polizia e di pubblica sicurezza iniziarono a coordinarsi per disperdere i convenuti, impedendo allo stesso tempo ad altre centinaia di persone di accedere alla piazza dalle vie circostanti. Un’auto della pubblica sicurezza (VB, Verejná Bezpecnost) fece il giro della piazza, chiedendo ai presenti di disperdersi “perché la manifestazione non era stata autorizzata” e annunciando che, se la piazza non fosse stata sgombrata, le autorità avrebbero usato tutti i mezzi disponibili per ristabilire l’ordine pubblico. Per tutta risposta, i fedeli intervenuti iniziarono a pregare il santo rosario.
Ma per quale motivo così tante persone si erano ritrovate a pregare quel venerdì 25 marzo di trent’anni fa, con le candele accese in mano, ignorando le autorità che ordinavano loro di sgombrare la piazza? Tutto aveva avuto inizio con Marián Štastný, ex stella cecoslovacca dell’hockey su ghiaccio, emigrato in Canada per giocare nella lega professionistica Nhl e diventato poi vicepresidente esecutivo del Congresso mondiale degli slovacchi. Dopo aver letto un libro sulle torture e le persecuzioni che tanti suoi concittadini avevano subito negli anni Cinquanta da parte del regime comunista, Štastný si rese conto che il problema della discriminazione e del mancato rispetto dei diritti umani fondamentali era ancora vivo e presente nella società cecoslovacca del 1987: ebbe quindi l’idea di chiedere alle varie comunità slovacche sparse per il mondo di organizzare delle manifestazioni pacifiche davanti alle rispettive ambasciate. La protesta era diretta contro il brutale trattamento a cui erano sottoposti i fedeli laici e i religiosi in Cecoslovacchia e contro il mancato rispetto della libertà religiosa sancita dai trattati di Helsinki firmati anche dalla Cecoslovacchia. Più in generale, voleva difendere i diritti umani fondamentali di tutti i cittadini.
Štastný fece pervenire le informazioni su questa manifestazione anche alla Chiesa clandestina in Slovacchia e, in breve tempo, i dissidenti František Mikloško e Ján Carnogurský si misero al lavoro per organizzare una manifestazione simile a Bratislava. Con una differenza nelle motivazioni: lì si chiedeva anche di permettere al Vaticano di nominare i vescovi per le diocesi vacanti della Slovacchia.
Alla fine, di tutte le manifestazioni internazionali a cui aveva originariamente pensato Marián Štastný se ne tenne una sola. Alle 17 del 25 marzo 1988 un gruppo di una cinquantina di persone manifestò a Roma davanti all’ambasciata cecoslovacca: la manifestazione pacifica era stata organizzata dal gruppo locale di Comunione e liberazione, che aveva chiesto preventivamente tutte le autorizzazioni del caso. A Bratislava, invece, le autorità negarono a Mikloško l’autorizzazione, adducendo come motivazione il fatto che gli organizzatori non avrebbero potuto garantire l’ordine pubblico. Le varie comunità cristiane della Slovacchia, però, si organizzarono lo stesso e la notizia fu diffusa da Radio Free Europe, Voice of America e Radio Vaticana. Molte persone decisero di andare a Bratislava anche singolarmente, per manifestare pacificamente “accendendo candele e pregando il Rosario”, nonostante il regime avesse fatto di tutto per impedirglielo — ad esempio chiudendo il giorno precedente le residenze per studenti che erano stati costretti a tornare a casa (nella maggior parte dei casi a diverse decine di chilometri da Bratislava), oppure bloccando i trasporti pubblici cittadini il giorno della manifestazione.
Così, visto che i fedeli in piazza non si decidevano ad andarsene, le auto della VB iniziarono a muoversi verso di loro, cercando di costringerli a sgomberare. Ma i manifestanti non si davano per vinti, e riuscivano sempre a riportarsi al centro della piazza, senza mai smettere di pregare nonostante il tempo inclemente (aveva iniziato a piovere poco prima). Così i coordinatori delle forze dell’ordine decisero di aumentare la pressione: da un lato tenendo lontani a forza i cittadini che, dalle vie circostanti, cercavano di unirsi ai manifestanti in piazza; dall’altro avviando delle cariche da parte di poliziotti in assetto anti-sommossa. Questi ultimi iniziarono a manganellare i manifestanti, colpendoli ripetutamente anche una volta caduti a terra. Furono azionati anche gli idranti che gettavano acqua verso il centro della piazza. La polizia iniziò con gli arresti e, tra gli altri, fermò anche una troupe della televisione di Stato austriaca Orf, la cui reporter Barbara C. Kalergi ebbe quel giorno la certezza che il regime sarebbe caduto. In seguito, disse anche che il crollo di tutti gli altri regimi comunisti dell’Europa orientale ebbe origine dalla Manifestazione delle candele a Bratislava.
La manifestazione non fece notizia solo in Austria: se ne parlò in tutto il mondo. Davanti a un semplice gesto di disobbedienza civile, il voler manifestare nonostante il divieto delle autorità, la reazione sproporzionata dello Stato mostrò al mondo il vero volto del regime comunista in Cecoslovacchia.
Nel trentennale della manifestazione, a Bratislava, un gruppo di associazioni di cittadini e di fondazioni senza scopo di lucro hanno voluto ricordare questo importante avvenimento storico con una serie di incontri e una coreografica ricostruzione degli eventi. L’intervento di diversi testimoni diretti degli eventi di trent’anni fa è stato accompagnato, infatti, dalla riproduzione audio dei messaggi radio scambiati tra gli agenti della Sicurezza nazionale e della polizia e dal procedere di diversi autoveicoli risalenti all’epoca, fra cui l’ormai mitica utilitaria Trabant, attirando l’attenzione dei passanti incuriositi. Molti di loro non erano neppure a conoscenza dei fatti e hanno mostrato stupore e, in alcuni casi, commozione. Tra i convenuti, spiccava un gruppo di qualche decina di studenti liceali e insegnanti provenienti da tutta la Slovacchia per festeggiare il decennale del progetto “Eroi silenziosi nella lotta al comunismo”, avviato dallo storico František Neupauer (che collabora anche con l’Istituto per la memoria nazionale, Ústav pamäti národa) per spingere gli studenti a cercare testimonianze dirette di personaggi perseguitati dal regime comunista tra il 1948 e il 1989. Le testimonianze raccolte sino a oggi sono circa cinquecento ed è commovente leggere e ascoltare i commenti dei ragazzi, a cui questa esperienza ha letteralmente cambiato il modo di vedere la realtà storica di quel periodo.
Nel corso della ricostruzione degli eventi di trent’anni fa si sono così ritrovati sulla stessa piazza, i reduci della Manifestazione originale e questo gruppo di ragazzi. Insieme hanno formato gruppetti misti, hanno acceso le candele, cantato e pregato insieme. I ragazzi hanno ascoltato dal vivo i racconti di chi, presente nel 1988, aveva davvero temuto di perdere la vita; eppure la piazza si era riempita lo stesso, perché la fede e il desiderio di libertà erano più forti di qualsiasi istinto di conservazione.
Trent’anni dopo la luce di quelle candele è ancora viva in Slovacchia e il messaggio di libertà e di fede di quel gruppo di persone non è andato perso. Lo dimostrano anche l’intervento conclusivo dell’ex-presidente della Germania Joachim Gauck e il concerto della Filarmonica di Bratislava che hanno chiuso i festeggiamenti, riportando alla sua giusta dimensione internazionale la grande vittoria del popolo slovacco: quel 25 marzo 1988 segnò l’inizio della fine della tirannia comunista in Europa.