La giornata di oggi potrebbe avere conseguenze imprevedibili, perché papa Francesco, che oggi incontra la scuola italiana in piazza San Pietro, ha le carte in regola per fare una rivoluzione. A dirlo è Luigi Berlinguer, membro di spicco del Pd, professore universitario, ministro dell’Istruzione dal ’96 al 2000. “Non sono credente” dice Berlinguer “ma seguo il papa, imparo. La sua autorevolezza che non nasce dal soglio, ma dalla sua capacità di comprendere e comunicare le ragioni”.
Professore, l’importanza di un momento come quello di oggi?
È duplice. Prima di tutto perché abbiamo bisogno di un grande cambiamento nell’educazione italiana. E poi perché parla forse la massima autorità morale che oggi c’è nel mondo. Non sono credente, ma sono un uomo religioso, e vedo nella funzione del santo padre una valenza che va ben oltre l’ambito cui lui è preposto.
In che cosa è significativa secondo lei?
Penso al modo in cui si rivolge e parla ai giovani. E non solo a loro, ma alle persone tutte. Vede, non possiamo più prsentare ai giovani un trattato, un complesso di conoscenze struttrate, statiche, come spesso in molti fanno ancora oggi, perché a loro non piace. Bisogna cambiare linguaggio, cambiare il metodo. Questo dice il papa.
Niente conoscenze strutturate? Detto da un ex ministro dell’Istruzione, suona strano.
Penso a quel bellissimo passo dell’intervista a Civiltà Cattolica in cui Bergoglio racconta di quando, a 28 anni, insegnava letteratura in un liceo di Santa Fé. Svolse il programma, ma in maniera destrutturata: il termine è suo, assecondando la curiosità dei suoi allievi, raccogliendone l’interesse. Senza per questo rinunciare agli obiettivi di fondo che aveva in mente come insegnante… una grande lezione. Occorre prendere atto della forza che c’è in coloro che vogliono capire. Mi aspetto che dirà cose importantissime, di grande modernità per l’educazione.
Quali sono questi elementi di “modernità” che lei ravvisa nel papa e che incontrano la sua storia intellettuale e politica?
Prima di tutto il dialogo, o l’incontro, come viene definito da voi. Francesco ha un’idea interattiva della relazione tra persone e quindi del sapere. Il suo stile non è quello di chi fa una lezione, una paternale. Ai preti ha detto di essere aperti alla sensibilità di chi li ascolta, fare in modo che la gente quando le si parla sia contenta, si diverta. Sono le stesse cose che io nel mio ultimo libro dico agli insegnanti: quello che voi fate non può essere un supplizio per chi sta dall’altra parte, deve divertire, appassionare.
È davvero possibile questo?
Sì. Ma all’inizio l’idea era un’altra, opposta. L’idea che insegnare significa solo faticare. Bisogna faticare, ma anche divertirsi.
Papa Francesco parlerà ad una piazza di uomini, donne e giovani italiani. Quella piazza è pronta ad accogliere la sfida del papa?
Ci saranno gli uni e gli altri. Ora io non so cosa dirà il papa, è evidente. Però presumo, dal suo modo tipico di affrontare tutti i problemi e non solo quelli educativi, che il suo messaggio sarà semplice, povero, e per questo autorevole e convincente. È una autorevolezza la sua che non nasce dal soglio, ma dalla capacità di comprendere e comunicare le ragioni profonde. Basta guardare la faccia delle gente che lo ascolta per trovarne il riflesso.
Torniamo all’educazione, a quegli uni e a quegli altri che diceva. Chi sono, scusi?
C’è chi è cresciuto con l’idea che scuola, educazione e istruzione trasmettono dei saperi e stop. Questi uomini e queste donne non possono cambiare da un giorno all’altro. Tra loro ci sono persone preparatissime, non mi fraintenda. Ma è ora di voltare pagina, pensando all’attività educativa come qualcosa di interattivo. È questo che ci dice, tra le altre cose, la rete. L’interattività è alla base di ogni incontro e comunicazione tra persone, ma è anche alla base dell’apprendimento. È possibile che non tutti sono pronti a questo passaggio. Ma il papa può fare molto, moltissimo.
Insomma lei ha una grande fiducia in lui.
Guardi che queste cose non le dico per conformismo. Le dico perché non mi dimenticherò mai la sera dell’annnuncio, quando invece di rispondere con la formula canonica, Francesco uscì e disse semplicemente “Buonasera”. È stata una rivoluzione culturale. Papa Francesco si è dimostrato capace di parlare all’uomo della strada, anche l’ultimo. E poi, la sua fortissima sensibilità sociale. Ma attenzione: è un gesuita.
Perché dice questo?
Vuol dire che sa molto bene cos’è lo studio, quello duro, forte. Ma parla in modo semplicissimo. È questa la vera cultura. Si ricorda cosa disse nel suo incontro con i superiori generali?
Mi aiuti, professore…
Disse che i grandi cambiamenti si sono realizzati quando la realtà è stata vista non dal centro, ma dalla periferia. La definì una questione ermeneutica: “si comprende la realtà solamente se la si guarda dalla periferia, e non se il nostro sguardo è posto in un centro equidistante da tutto”. Solo mettendomi fuori dal centro posso comprendere. Anche Francesco ha fatto questo; col risultato di mettere ancor più al centro il suo messaggio…
E dal punto di vista dell’educazione questo cosa significa?
Significa che il centro non è la trasmissione del sapere ma l’apprendimento, è la costruzione della persona. È il soggetto che costruisce l’educazione, imparando, con l’aiuto di un maestro. Al centro bisogna mettere il modo con cui un bambino, un ragazzo, si avventura nei problemi, nel sapere, realizzando in questo modo la propria persona. E diventando così un cittadino, non solo perché rivendica i diritti ma perché li afferma con la sua propria crescita intellettuale… Questa è la filosofia generale di Francesco, credo.
Anche un po’ la sua, no?
Certo lui la formula in un linguaggio religioso… e poi c’è il tema del perdono, e il rilancio che egli fa della confessione, che per noi non credenti è una cosa un po’ astrusa, ma che dobbiamo guardare. Io lo seguo, lo guardo perché imparo…
Lei conosce la nostra scuola, l’ha anche governata. A che punto siamo?
Nonostante tanti cambiamenti dovuti alla generosità e all’intelligente opera di migliaia e migliaia di docenti e di presidi, è ancora una scuola prevalentemente tramissiva. Finché non cambia questo, non ne usciamo. È questa la rivoluzione che ci occorre, una rivoluzione francescana.
(Federico Ferraù)