Uno dei tratti distintivi dell’era Monti è senza dubbio l’insistenza sul valore del merito nella società. Il segno più evidente di novità e di cesura col passato sembra proprio questa volontà di premiare la qualità, di imprimere un nuovo dinamismo grazie alla valorizzazione delle eccellenze. Se questo intento è senz’altro condivisibile, bisogna però chiedersi se e come si possa realizzarlo. E se le mosse del Governo fino ad oggi siano state efficaci rispetto a tale fine.
Nell’ambito della scuola e dell’ università non si sono finora visti grandi cambiamenti in questo senso. Certo, come ha ricordato Giovanni Cominelli su questa testata, il problema della scuola e della formazione non sembra essere in cima alle priorità di nessun partito, ma forse proprio per questo può essere la grande chance di un governo tecnico. Cominelli fa appello agli insegnanti per la risurrezione della nostra scuola, e ha ragione. Vorrei obiettargli che forse sono molti più di quanto egli stimi i docenti appassionati e desiderosi di innovare, di mettersi in gioco, orgogliosi di dare il proprio contributo all’ istruzione pubblica. Certo, è vero che, in questa fase, il letargo sembra sceso sul mondo degli insegnanti, incapaci di opporsi alla deriva burocratica e maniacale dello psuedo scientismo educativo-valutativo. Ma è anche vero che sono gli insegnanti i primi a soffrire di questa situazione, e che quindi sarebbero ben felici di partecipare ad una nuova primavera della scuola, se vedessero qualche prospettiva di cambiamento. Mi pare tuttavia che ci sia una questione di fondo su cui riflettere.
La messa in moto di energie creative nuove, essenziale alla ripresa del Paese, non può avvenire se si resta ingabbiati nello statalismo di cui soffre il nostro sistema formativo. L’innovazione nella scuola è bloccata da anni. Non solo per la mancanza di fondi, ma anche perché l’autonomia scolastica è rimasta in gran parte sulla carta, un’ipotesi teorica che poi nella pratica stenta a realizzarsi per il permanere di troppi vincoli che scoraggiano di fatto i tentativi di innovazione. Le retribuzioni degli insegnanti italiani rimangono molto al di sotto di quelle dei colleghi europei e non decolla nessun sistema di incentivi e di progressione di carriera legata al merito, e questo non fa che allontanare ancor più dalla scuola il vento del cambiamento, il rischio dell’intrapresa. Forse sarà l’immissione di energie giovani (anche se di questi annunciati concorsi non si sa ancora molto) a dare un impulso? Lo spero, anche se dubito che la selezione del concorso potrà tenere conto dell’attitudine al cambiamento dei candidati.
Per uscire dal triste isolamento di tanti insegnanti, incapaci di uscire dalla gabbia del ruolo burocratico e rinunciatario in cui si sono relegati, non possiamo sempre solo aspettare riforme palingenetiche calate dall’alto, dallo Stato. Dobbiamo far ricorso piuttosto alle energie e alle esperienze che già sono in atto, cercando di farle conoscere, di estenderle, di perfezionarle, di proporle come punti di partenza per altre situazioni. Siamo noi insegnanti i possibili protagonisti del cambiamento. Diamoci da fare. Creiamo punti di aggregazione di energie, di esperienze, di dialogo. Utilizziamo il web per far circolare le nostre esperienze. Coinvolgiamo le famiglie in questa nuova consapevolezza, invitiamole a darci fiducia in questo compito, anziché alimentare in esse, coll’ipertrofia della burocrazia, una visione distorta del nostro ruolo.
Condividiamo con gli studenti la riflessione sullo scopo del nostro stare insieme, sulla bellezza della ricerca, sugli obiettivi del percorso scolastico, sulla preparazione da raggiungere per stare al passo col mondo. Quanto più riusciremo a coordinare queste esperienze, a dare rilevanza anche pubblica, vorrei dire politica, nel senso di vitale per la polis, al nostro ruolo di educatori, quanto più riusciremo a non essere soli in questo affascinante compito, tanto più potremo esse validi interlocutori attivi anche delle riforme statali. Certo, al momento le forme di aggregazione partecipativa di noi insegnanti sono da inventare, ma non partiamo da zero, esperienze in atto ce ne sono tante in giro per l’Italia. In fondo, si tratta di recuperare noi stessi.