In questi giorni, la pubblicazione dei nuovi dati OCSE-PISA (edizione 2009) ha riaperto la discussione in merito alla performance relativa degli studenti iscritti alle scuole paritarie e di quelli iscritti alle scuole statali. In particolare, alcuni giornalisti ed opinionisti “militanti” hanno colto l’occasione per commentare (forse prematuramente, e senza adeguate analisi approfondite) il dato che mostra come i risultati degli studenti delle scuole statali siano superiori rispetto a quelli delle scuole paritarie. Esemplare di questa posizione è stato un articolo apparso su Repubblica.it del 10 dicembre scorso.
Sulla base di questa osservazione, la conclusione di policy invocata dai più consisterebbe nella riduzione del settore non statale dell’istruzione. In pratica, poiché gli studenti delle scuole statali sarebbero all’altezza dei propri colleghi dei propri paesi, mentre gli studenti delle scuole paritarie sarebbero molto meno competenti, la soluzione per migliorare il sistema scolastico italiano starebbe nella limitazione del settore paritario (ad esempio, mediante un’ulteriore riduzione dei finanziamenti statali alle scuole paritarie i quali, benché esigui, non avrebbero ragion d’essere per via della loro minore performance scolastica).
Tali analisi – e, soprattutto, tali conclusioni di policy – sono ovviamente questionabili sotto il profilo metodologico. Innanzitutto, il nesso causale tra migliori (o peggiori) performance individuali e tipologia di scuola è tutto da dimostrare: uno studente va meglio di un altro perché frequenta una scuola statale (o una scuola paritaria), oppure vi sono altri fattori da tenere in considerazione (ad es., la condizione socio-economica della famiglia, l’educazione precedente, il tipo di insegnanti che lavorano nella scuola, ecc.), e che meglio spiegano le diverse prestazioni? Inoltre, Giorgio Vittadini e Luisa Ribolzi, dalle pagine di questo quotidiano, hanno ben spiegato come i dati PISA poco si prestino ad effettuare un confronto tra scuole statali e scuole paritarie, a causa della particolare tecnica di campionamento e della definizione di scuola “non statale” adottata nel campione PISA. Quest’ultimo problema è ben noto ai ricercatori che, in ambito internazionale, utilizzano i dati PISA: sono a conoscenza, ad esempio, di un problema esattamente analogo con riferimento ai Paesi Bassi.
Comunque, al di là dei problemi metodologici, ciò che più preoccupa leggendo queste prime analisi sui dati PISA è la totale dimenticanza (ignoranza?) di altri dati, nazionali ed internazionali, che hanno già cercato di misurare le performance relative di scuole statali e non statali.
L’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI), su incarico del ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca svolge, oramai da qualche anno, una analisi degli apprendimenti degli studenti in momenti critici del loro percorso educativo, mediante prove standardizzate. La più celebre prova Invalsi è quella somministrata al termine del primo ciclo, in concomitanza con la prova finale (esame di stato) della scuola secondaria di I grado (ex scuola media). Ebbene, nell’a.s. 2008-09 (lo stesso, per intendersi, in cui veniva somministrata la prova OCSE-PISA 2009 ai quindicenni), i dati sugli apprendimenti degli studenti di III media rilevati da Invalsi evidenziavano come, per ogni materia e per ogni area del Paese, i punteggi medi delle scuole paritarie fossero superiori a quelli delle scuole statali (fonte: INVALSI, i dati sono riportati come percentuale di risposte corrette):
Italiano (comprensione del testo): 76,39 (paritarie) versus 72,99 (statali)
Italiano (grammatica): 53,23 (paritarie) versus 49,17 ( statali)
Matematica: 54,95 (paritarie) versus 52,84 (statali)
Queste differenze, basate sulla media, sono ancora più evidenti quando si considera la mediana (ad esempio, per la comprensione del testo i due punteggi sono 80,00 versus 73,33). Le disaggregazioni per area geografica di questi punteggi sono disponibili nei report completi prodotti da Invalsi.
Riassumendo, le diverse informazioni che provengono dalle differenti rilevazioni suggeriscono cautela nel formulare giudizi definitivi sul confronto delle prestazioni tra scuole statali e paritarie; queste ultime, nelle analisi nazionali (tarate specificamente sul nostro sistema educativo) sembrano ottenere risultati migliori, mentre i dati PISA (orientati a misurare competenze meno curriculari) sembrano suggerire un vantaggio a favore delle scuole statali.
Ogni buon ricercatore che abbia usato dati sugli apprendimenti degli studenti conosce bene le loro limitazioni ed i punti di forza, che sono differenti a seconda del tipo di rilevazione e delle metodologie di analisi utilizzate. L’attività educativa che avviene nelle scuole e nelle classi è, infatti, molto complessa e difficile da analizzare puntualmente. La ricerca in questo campo sta facendo passi importanti, anche nel nostro Paese, grazie al lavoro costante e rigoroso di docenti e ricercatori che utilizzano metodi statistici sempre più completi e sofisticati per individuare le determinanti dei risultati degli studenti e delle scuole. Le analisi semplicistiche e facilone, invece, alimentano un dibattito povero e “di parte”, che non contribuisce a introdurre miglioramenti nel nostro sistema scolastico.