L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha coniato un nuovo termine per indicare la funesta accoppiata di due disturbi della salute: il diabete e l’obesità. Si parla di “diabesità” e i numeri che quantificano il fenomeno sono impressionanti. Crescono le persone sovrappeso, obese o con diabete in tutto il mondo. In Italia, secondo le più recenti stime, è sovrappeso 1 persona su 3, obesa 1 su 10, diabetica 1 su 20. Secondo i dati degli Annali 2010 dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD), il 66,7% delle persone con diabete di tipo 2 è anche obesa e solo il 17,9% risulta di peso normale. Invece, è obeso “solo” un quarto delle persone con diabete tipo 1. In pratica, sono sovrappeso 21 milioni di Italiani, obesi 6 milioni, con diabete 3 milioni: “veri diabesi”, ossia contemporaneamente obesi e con diabete, 2 milioni.
Presentando il prossimo Congresso Nazionale “Diabete-Obesità”, in programma Rossano Calabro (CS) dal 25 al 28 maggio 2011, il presidente Antonio Pontiroli ha osservato che l’associazione diabete-obesità deve preoccupare principalmente perché di diabesità si muore. Il rischio di morte raddoppia ogni 5 punti di crescita dell’indice di massa corporea (il BMI): un diabetico sovrappeso raddoppia il proprio rischio di morire entro 10 anni rispetto a un diabetico di peso normale; per un diabetico obeso il rischio quadruplica. Non conta, però, solo l’aumento di peso, ma anche il tempo trascorso “in taglia XXL”. Secondo uno studio dell’Università di Melbourne (Australia), più a lungo si è obesi più il rischio di morte cresce: duplica se si è obesi per un periodo dai 5 ai 15 anni, triplica oltre i 15 anni.
Il primo imperativo categorico è quindi: dimagrire. Ci sono comunque anche ulteriori possibilità di prevenzione e cura, frutto della recente ricerca medica.
La prima è sul versante farmacologico, dove le novità sono i farmaci incretino-mimetici, in grado di mimare l’azione dell’ormone naturale GLP-1 che stimola il rilascio dell’insulina quando i livelli di glucosio diventano molto elevati. Gli incretino-mimetici combattono sia il diabete che l’obesità: consentono di ridurre i livelli di glucosio e, allo stesso tempo, inducono una perdita di peso protratta nel tempo. Il capostipite della classe è exenatide, sviluppato dalla saliva di Gila monster, lucertola dell’Arizona, utilizzabile per iniezione sottocute, prima dei pasti al mattino e alla sera. Un altro incretino-mimetico è liraglutide, primo analogo del GLP-1 umano che presenta una similitudine alla molecola naturale pari al 97%.
Sul lato chirurgico, si stanno mettendo a punto interventi della cosiddetta chirurgia bariatrica (dal greco baros, peso e iatros, medico) che rappresenta una valida cura dell’obesità grave (con BMI superiore ai 40 kg/m2) e in determinate condizioni produce effetti positivi anche sul diabete. Questa chirurgia è raccomandata nelle persone adulte con diabete tipo 2 e obesità grave, con indice di massa corporea superiore o uguale a 35. Un documento diffuso recentemente dall’International Diabetes Federation ribadisce che la chirurgia bariatrica dovrebbe essere considerata nel trattamento del diabete di tipo 2 in pazienti obesi che non rispondono alla metformina, al fine di limitare le gravi complicanze che possono derivare dalla malattia.
C’è da notare che la AMD è molto attiva e che la situazione italiana è particolarmente favorevole quanto a livelli di cure e di iniziative. Nel 2009 l’associazione ha avviato il Progetto SUBITO! con l’intento di modificare la gestione della malattia diabetica in Italia e i primi risultati di un’indagine ad hoc saranno pubblicati e presentati al convegno di Rossano. Alcuni dati anticipati dal Presidente della AMD Carlo Giorda, mostrano che quanto prima si interviene e quanto più rapidamente si riportano i valori della glicemia alla normalità, tanto più si riducono le temibili complicanze del diabete: ad esempio, se si curasse in modo rigoroso la malattia almeno cinque anni prima di quanto mediamente avvenga, si potrebbero ridurre le complicanze cardiovascolari di oltre il 40%.
L’indagine è partita da un campione di 1.000 persone assistite in 126 servizi di diabetologia e ha misurato il valore dell’emoglobina glicata (HbA1c) – il parametro utile a valutare se la malattia è tenuta sotto controllo o meno – al momento della prima visita: ben 699 persone avevano un valore di HbA1c superiore al 7%, cioè in area “fuori controllo”; sottoposte poi a un trattamento intensivo con dieta, attività fisica e farmaci, alla visita di controllo dopo sei mesi, 436 (il 62,3%) erano rientrate nella norma, con valori inferiori al 7%” e con riduzioni in media quasi 3 punti, un dato tra i più elevati a livello internazionale e che equivale, in pratica, ad aver ridotto del 60% il rischio di complicanze della malattia.