Caro direttore,
solitamente, all’atto di una fatica o un ostacolo superati, si dovrebbe essere lieti e pensare serenamente ad affrontare le nuove prove/sfide che, comunque, non sono meno intense per chi si è appena cimentato, superandolo, in un inizio di percorso, come le prove preselettive del concorso per dirigente scolastico da poco trascorse. Non è così, e non solo per gli oggettivi problemi di difficoltà esterna delle prove ma anche per quelli d’ordine interno, che si aggiungono al già duro lavoro di studio e selezione. Verrebbe da dire, a tutti coloro che hanno superato la preselezione: “E come potevamo noi cantare, col piede straniero sopra il cuore […]?” (S. Quasimodo).
L’Italia, paralizzata a tutti i livelli da “corsi e ricorsi” (non storici, alla Vico), si è impantanata in un gioco sterile di delegittimazione a 360 gradi. All’indomani della prova preselettiva, infatti – come confidatomi il 12 ottobre da un insegnante precario che era stato ammesso (a mio parere, legittimamente, con sospensiva alla prima prova) – , sono effettivamente fioccate le notizie di preordinati ricorsi contro le future graduatorie degli idonei post “mattanza”. Dal giorno 13 ottobre si sono sentite solo le voci dei contestatori che, alla fine, sono risultati (quando non lo sapevano già da tempo per una verifica dei risultati on line mediante i correttori pubblicati il 13 ottobre) inidonei e, ciascuno secondo la data di correzione degli elaborati della propria regione, ha aderito ad una protesta palesemente orchestrata già, cautelativamente, prima dell’effettivo svolgimento della prova del 12 ottobre 2011.
La prima (in ordine di tempo) iniziativa a difesa di quanti hanno superato la prova (1 su 4) dell’agognato concorso Ds del 12 ottobre è stata una petizione di raccolta firme on line di cui ho avuto conoscenza su “La scuola iblea”, iniziativa dal valore morale (così come l’articolo pubblicato a pag. 26 sul Corriere della Sera del 2 novembre che spiegava bene le ragioni della parte “controinteressata” la quale, suo malgrado, aveva la “colpa” di aver superato la prova rispetto ad altri). La colpevolizzazione dell’altro è, nel nostro Paese, ormai da una decina d’anni, uno “sport” invalso, prima tra categorie professionali “alte” (se così possiamo definire chi svolge mansioni pubbliche) ed adesso, anche attraverso anni di mirato bombardamento mediatico, emulato dalla gente comune.
Non così doveva essere per noi insegnanti che dovremmo dare l’esempio di accettare oneri ed onori di regole che condividiamo (implicitamente, all’atto di partecipare ad un concorso pubblico). In Italia pare si sia perso il senso del dovere, in questi ultimi 60-70 anni, a vantaggio del senso del piacere, mediatico, perché ad alimentare i nostri miraggi di legalità a nostro uso e consumo ci pensano gli avvocati, mediatori dei nostri desideri ritagliati a misura nostra (come fossimo adesso noi le popolazioni dell’Est degli anni 80, erroneamente allettate dai miraggi dei programmi televisivi captati al di là della cortina di ferro).
Una sorte di spirale autoriflessiva di Lewin nella quale il nostro mondo occidentale sta andando da solo ad arenarsi. Una riflessione a margine che potremmo fare sulla petizione (morale e pacifica, rispetto alle altre iniziative che, mentre scriviamo, stanno concretizzandosi – controricorso ANP in ultimo – ) è quella che essa dovrebbe contribuire a sensibilizzare le coscienze sopite di lavoratori particolari, in difetto – al momento – di un formale codice deontologico (anche se teoricamente lo insegnano). Con buona pace del “Giuramento di Ippocrate”, ciascun ricorrente, adesso, in Italia – forse sulla scorta di una “devolution” di circa 20 anni di mediatico qualunquismo nello stile “Cogito, ergo (id) est…” – sembra la brutta copia di certi nostri studenti che, sforzandosi in un forzato “effetto Pigmalione” per “strappare” un voto, vorrebbero trovare fuori dalle regole l’oggetto-soggetto col quale promuoversi. Solo che non si accetta di essere giudicati, cosa che, almeno, Narciso faceva, seppure rifiutando il contatto esterno. Cito Narciso perché, come studiato sui materiali Miur, il narcisismo è una delle componenti del dirigente scolastico leader ma, potremmo aggiungere, in misura non assoluta perché altrimenti lederebbe il bene che amministra, ovvero la struttura scolastica.
Alcune sigle sindacali, assumendo su di sé contemporaneamente le voci degli idonei (con corsi di preparazioni agli scritti) e dei non idonei (con ricorsi al Tar assistiti ed ancora in preparazione agli scritti) sono scese in campo. Non che tali sindacati non abbiano svolto con attenzione altre cause, come per esempio quelle per il recupero dei 30 punti dei “sissini”, il reintegro del “pettine” nelle graduatorie provinciali e la sospensiva n. 1 per concedere l’accesso alla seduta preselettiva del concorso Ds anche a coloro che avevano meno dei 5 anni di ruolo ma con copertura di supplenze statali a completamento dei 5 anni, oppure i “precari storici” con incarichi annuali di oltre 5 anni. Stavolta, però, giudico che il ricorso contro le graduatorie preselettive del concorso a Ds sia sensibilmente pretestuoso nella procedura e negli intenti. Il “Tallone d’Achille” morale e pratico della questione, a mio modesto avviso, emergerebbe palesemente dall’aver sottoscritto, con la consegna dell’elaborato, l’accettazione a priori delle regole del gioco concorsuale.
I fruitori della sospensiva del 12 ottobre – che, secondo me, conformemente alla legislazione europea, si appellavano al fatto che in Europa, con solo 3 anni di contratto statale si “entra di ruolo”, mentre in Italia questo non avviene; per cui sarebbe legittimo accedere alla partecipazione ad un concorso “pubblico” in quanto (“precari storici” o giovani “under 5 anni”) comunque sempre dipendenti “pubblici” – m’è sembrato giusto che partecipassero. Ma adesso, anche perché preventivato a 360 gradi prima del 12 ottobre in base al proprio risultato, ricorrere “a prescindere” – Totò ci insegna! – mi sembra indegno di professionisti. Tralasciando la questione della pubblicazione e ripubblicazione dei test del Miur, tautologica, “le ragioni degli altri” (i “controinteressati”) vengono misconosciute sperando che il numero maggiore dei ricorrenti copra le altrui voci.
A nulla è valsa la trasparenza e precisione di Miur e Formez (ora accusati) in streaming per le correzioni: si nega implicitamente, per narcisismo ferito, che tutti i partecipanti alla preselezione abbiano avuto le stesse modalità di somministrazione della prova e tempi di studio oltre all’unicità del metodo valutativo in streaming oggettivo della prova. La protesta avrebbe avuto un senso qualora i contestati “librone”, “100 domande in 100 minuti”, “quiz errati” ecc., fossero stati espressi formalmente prima, non dopo, perché, all’atto del sedersi e svolgere la prova del 12 ottobre, il consegnare la prova svolta rappresenta il sigillo della normalizzazione dell’atto contrattuale che, con l’esecuzione dell’esame, ne legittima la sottoscrizione delle regole da parte del contraente che, svolgendola, tacitamente, l’accetta.
Ma, come dicevo prima, in un Paese che ha smarrito la propria identità a vantaggio della prevaricante affermazione dell’immagine di sé sugli altri, pare di avere una storia più breve di quella degli Usa (altro che i valorosi Romani!) che comunque hanno un senso di patria e di socialità più alto del nostro in questo momento. I media ci hanno stregato e adesso sono proprio loro che hanno reso noi stessi stranieri, sconosciuti tra noi, e ci pongono l’uno contro l’altro impedendo a tutti (idonei e non idonei) che le cetre facciano altro che oscillare “lievi al triste vento”.
Angelo Nicotra