Fine dell’adozione “obbligatoria” e via libera ai libri-fai-da-te con la Nota n. 2581/2013 relativa alle adozioni dei libri di testo per a.s. 2014/15, in nome dell’abbattimento dei costi alle famiglie; si parte con la produzione, sull’arco di un triennio, di libri digitali gratuiti da parte di un docente con i suoi studenti, in base a linee guida che il Mur emanerà e che permetteranno di registrare i libri digitali prodotti con una licenza che ne consenta la condivisione su tutta la rete nazionale delle scuole statali. Sempre nell’ottica di una riduzione dei costi, i tetti di spesa sono stati rivisti verso il basso per le nuove adozioni per le classi prime di scuola secondaria di primo grado e per le classi prime e terze di scuola secondaria di secondo grado.
È certamente una valorizzazione della professionalità del docente rendere possibile che quanto da lui prodotto possa essere, se validato, ritenuto idoneo a essere diffuso, anche perché il testo digitale favorisce, quasi impone, una continua ricerca e l’utilizzo di “testi” di varia tipologia. Tuttavia, a fronte di una esperienza personale di parecchi anni di autoproduzione di “dispense” di vario peso e tipo, seguite da un’esperienza editoriale, i limiti dell’autoproduzione mi appaiono evidenti; non è solo la paura di perdere quote di mercato a far dire alle varie case editoriali che i libri autoprodotti rischiano di essere strumenti scientificamente non validi, e non realmente innovativi.
Inoltre la motivazione economica – far risparmiare le famiglie -, pur reale e nobile, può anche abilmente far sorvolare su scelte discutibili richiamate nella nota, in particolare tre: 1. il modello cooperativo che sta alla base della creazione del testo digitale, 2. la gratuità del prodotto finale, 3. l’esclusione della scuola paritaria dalla condivisione del processo, e quindi del prodotto.
In merito al primo punto un conto è che il docente faccia una proposta precisa, articolata, rischiando un’ipotesi complessiva che tenga conto della letteratura scientifica di pertinenza, e che copra tutti gli aspetti dell’attività didattica, compresa la valutazione, che deve essere coerente con il metodo proposto, e che questa ipotesi articolata, fatti di tanti “testi”, nasca dal suo desiderio di rispondere all’empasse di apprendimento dei suoi studenti, a quella mancanza di “attivazione psicologica” che li blocca nel capire, e che in nome di questo cerchi vie innovative.
Inoltre mettere il proprio lavoro in mano ad un serio revisore editoriale, che ne controlli la coerenza strutturale complessiva e la consistenza analitica in base ad un preciso assunto metodologico e rispetto ad un determinato “fruitore”, un revisore che sia esterno al processo di creazione dell’autore e che sia consapevole di una tradizione editoriale autoctona da valorizzare e mantenere, fa emergere luci ed ombre di quanto prodotto, contribuendo alla formazione professionale dell’autore stesso, al punto che questi può col tempo intervenire nella filiera produttiva e modificarla anche per il meglio, ove necessario e possibile.
Un altro conto è invece che docente e studenti “insieme” costruiscano un testo, con un docente che “facilita” una costruzione del sapere che vede insegnante e studenti come “democraticamente paritari”; dove penderà la bilancia nel processo di autoproduzione dei testi lo si capirà forse dalle linee guida ancora mancanti. Anche se la linea di tendenza della scuola negli ultimi anni è appunto quella del “facilitatore” dell’apprendimento, e non del “maestro”.
Secondo punto, i prodotti editoriali saranno gratuiti; ma se l’ottica è quella della valorizzazione della professionalità del docente, perché i suoi prodotti editoriali, purchè validati, non debbono fornirgli un compenso economico, secondo quanto stabilito dalla normativa relativa ai diritti d’autore per le opere digitali? Certo che se il modello è “cooperativo” fra docenti e studenti è difficile continuare a parlare di proprietà intellettuale del docente, e tolto il “diritto d’autore” non è pensabile retribuire il docente che ha lavorato, e prodotto. Sono stati fatti esempi di grandi e piccoli esperimenti a livello internazionale e locale per difendere il modello del libro autoprodotto. Ma Coursesmart non è Book in progress; il primo, grande piattaforma internazionale di prestito di testi digitali per studenti, è nato per distribuire copie saggio in maniera efficiente, non per auto produrre testi scolastici, mentre il secondo, nato dall’iniziativa di una scuola di Brindisi, lavora sulla cooperazione di docenti fra 800 scuole, in cui il docente autore e coordinatore non hanno alcun diritto sull’opera collettiva, ma ogni istituto è tenuto a versare una quota annuale alla scuola capofila e ad assumersi precisi impegni se vuole partecipare al processo redazionale. La proposta del Miur è forse una “terza via”? Che idea di authorship, e in realtà di scuola, propone, implicitamente, oscuramente, e quindi pericolosamente?
Last but not least, la scuola paritaria non è tenuta ad uniformarsi a quanto previsto, ma a che prezzo? Semplice: se i suoi docenti volessero produrre testi secondo le stesse modalità, lo potranno fare, ma dovranno, sembrerebbe, farli circolare in un “circuito parallelo” (qualcuno lo chiamerebbe più chiaramente “ghetto”), e/o stare a contemplare con occhi bramosi lo scambio dei preziosi balocchi che avviene nella ben più ampia vetrina della scuola statale? Certo neanche il più accanito difensore della teoria del “non-diamo-soldi-alle-private-dei-ricchi-che-le-statali-dei-poveri-ne-hanno-bisogno” potrebbe accusare le paritarie di sottrarre soldi alle statali, visto che si tratterebbe di produrre testi gratis e che si potrebbe “sfruttare” il lavoro di tutti? Certo rendere le scuole paritarie partecipi del processo, fra l’altro facoltativo (chi vuole può continuare ad utilizzare prodotti editoriali purché conformi alle indicazioni nazionali e alla normativa su edizioni miste), obbligherebbe anche a renderle parte anche del prodotto.
Un libro digitale di inglese prodotto da un docente/classe di un Classico statale a Palermo, una volta validato, sarebbe a disposizione anche del docente di una paritaria di Milano, e quindi i suddetti genitori milanes potrebbero risparmiare qualcosa sui libri di testo, visto che le tasse le pagano due volte, una allo Stato come contribuenti, ed una alla scuola (e senza poterle detrarre come fanno per quelle del cane e del gatto di casa?)
Che sia per questo, per punire una libera scelta, che in questo caso, ma non solo in questo, le paritarie debbono restar fuori da processo e prodotto?