Il primo maggio 2018 avrebbe compiuto 110 anni. “Il fatto increscioso” — così Giovannino Guareschi si riferì alla sua nascita — avvenne nel 1908 “al primo piano della locale cooperativa socialista” in cui si celebrava la festa dei lavoratori. Politica e lavoro, temi che si ritroveranno nella gran parte dei suoi racconti. A leggere bene tra le righe, però, tutte le vicende politico-partitiche che tanto riscaldano gli animi (e i cazzotti) dei suoi personaggi (i più famosi sono don Camillo e Peppone), alla fine non sono che un palcoscenico come un altro per mettere sotto i riflettori gli esseri umani. Non tanto ciò che pensano, ma la loro ricerca di verità, di giustizia, di dignità.
Centodieci anni. Eppure non è difficile immaginare Guareschi ancora vivo oggi e, come allora, impegnato a ironizzare, smascherare superficialità e ipocrisie, ma anche a incoraggiare, e soprattutto a farci fare qualche passo in più nella nostra coscienza di esseri umani. Per questo si sente la sua mancanza. Conosciuto in tutto il mondo per la saga del Mondo piccolo (tradotta in 80 lingue), oltre che scrittore è stato giornalista, sceneggiatore, umorista e disegnatore. La sua opera, intrecciata a una vicenda umana intensa e drammatica, è una miniera ancora in parte da scoprire. Conoscerla, anche nelle sue parti inedite, è l’obiettivo di tante iniziative promosse lungo tutto il 2018, anno in cui si ricordano i cinquant’anni dalla sua scomparsa.
Una di queste iniziative è la pubblicazione di due nuovi volumi della collana Don Camillo a fumetti, apprezzata e sostenuta fin dalla sua nascita, nel 2011, dagli eredi Guareschi per la fedeltà al lavoro del padre. La serie, editata da ReNoir Comics, comprende finora 15 volumi ed è sceneggiata da Davide Barzi, uno tra i più apprezzati scrittori italiani di fumetti. I racconti contenuti sono sia quelli di Mondo piccolo, sia altri che non hanno come protagonisti il “pretone” cattolico e il sindaco comunista. La collana propone anche dei dossier di approfondimento e ha da poco iniziato a pubblicare il Corrierino delle famiglie, ispirato alla vita quotidiana della famiglia Guareschi, “una sorta di sit-com che tratta di situazioni apparentemente leggere ma — dice Barzi — in cui, come sempre, Guareschi offre valori e chiavi di lettura profonde, che fanno riflettere”. Delle 347 storie pubblicate sul Candido dal ’46 al ’66, ne sono state proposte a fumetti circa un terzo.
Particolare dalla copertina di “Don Camillo a fumetti” volume 15, “Alla Fiera di Milano”, ReNoir Comics, 2018, illustrazione di Ennio Bufi.
Tra le novità delle celebrazioni c’è il recupero del Guareschi illustratore, forse “l’ultima delle sue anime a cui rendere giustizia, visto che è stato anche un grande vignettista”, dice ancora Barzi. Nel volume 15 si trova, insieme alle vicende di don Camillo e Peppone, il terzo dei quattro episodi del Gazzettino di Roccapezza, una serie di racconti che anticipa e prepara il Mondo piccolo. “Il passaggio tra i due è interessante, sostiene Barzi. Ad esempio, il prete del Gazzettino, don Patirai, è molto diverso da don Camillo, più austero, duro, ideologico e le dinamiche di paese si fermano spesso alla loro grettezza e al loro cinismo. Manca ancora un riferimento valoriale alto che ci sarà in Mondo piccolo: la costruzione di una comunità, il confronto, la messa al vaglio di un sentire comune”. Come se Guareschi avesse messo un “più” di immaginazione, avesse voluto far fare un salto ideale alle sue storie. Non per niente Milo Milani, nell’introduzione al numero 14 della collana, scrive che l’opera di Guareschi rimane la “testimonianza di un intenso momento di speranza” per un “nuovo mondo possibile”. Che non avvenne, ma in cui “ci avremmo guadagnato tutti”.
L’obiettivo di Don Camillo a fumetti è rendere tutta l’opera dello scrittore fruibile a un vasto pubblico anche giovane, senza banalizzarlo ma, proprio grazie all’uso del disegno e dei balloon, valorizzandone l’essenza. “C’è un fatto — continua Barzi — che ha impedito nei decenni di fare apprezzare Guareschi a una platea più vasta, come avrebbe meritato: in un clima culturale teso a etichettare più che a capire, è stato a lungo ostracizzato (all’indomani della sua morte l’Unità sentenziò: “morto uno scrittore mai nato”, mentre il giornale dell’Azione Cattolica, a causa della querelle con Alcide De Gasperi, lo rappresentò come uno scarafaggio). E dove non lo si era apertamente attaccato, lo si rese innocuo banalizzando il suo messaggio”.
Vignetta tratta da “Disoccupazione”, episodio 103, disegno di Tommaso Arzeno, presente vel volume “Don Camillo a fumetti” volume 15, “Alla Fiera di Milano”, ReNoir Comics, 2018
La storia di Guareschi è quella di un uomo sanguigno, irriverente, che ha voluto fino alla fine essere irriducibilmente libero, anche nell’attraversare eventi drammatici: le due guerre mondiali, la casa distrutta dai bombardamenti, il carcere nazifascista in Polonia e Germania, la prigione per diffamazione a mezzo stampa (unico caso in Italia). Dell’esperienza nei campi di prigionia scrisse: “Mi sento vincitore perché sono uscito da quell’inferno senza odiare nessuno”.
Se non odiò nessuno, sicuramente non ebbe remore a criticare tanti sulle pagine del suo Candido. Ma anche a chiedere scusa. La natura umana è fatta di infinite sfumature. Cosa che i fumetti della ReNoir riescono a rendere bene, a differenza dei film con Gino Cervi e Fernandel che pure gli hanno dato tanta notorietà.
Politica e lavoro, si diceva all’inizio. In tanti episodi contenuti negli ultimi due numeri di Don Camillo a fumetti, troviamo questi due temi. “Parte del motivo per cui Guareschi venne messo ai margini è il fatto che è stato considerato un destrorso. Si schierò per la monarchia nel referendum istituzionale del ’46 e fu un convinto anticomunista”, osserva Barzi. “Però non apprezzò veramente nemmeno la Dc, che considerava troppo clericale e ammalata di potere. In realtà fu avverso al potere in sé e a quella corruzione che spesso si porta dietro. Le sue prese di posizione vanno comunque contestualizzate nella forte contrapposizione ideologica del tempo. In un’epoca in cui si viaggiava per massimi sistemi, per blocchi ideologici contrapposti, il suo tentativo era di raccontare una storia apparentemente piccola, che portasse però a galla dei criteri utili in una scala più grande, nazionale e internazionale”.
Lo si è messo ai margini forse anche perché si è diffidato troppo della sua libertà di pensiero, che non gli permetteva mai di approdare in porti sicuri, ma gli faceva rimettere tutto, ogni volta, in discussione. Era un cristiano, ma per lui anche il cattolicesimo era un’ideologia ogni volta che non si fermava di fronte alla coscienza e alla libertà personali. Quindi, se non è corretto considerarlo un uomo di parte, la sua partecipazione a tante battaglie politiche doveva avere un altro significato: quello di scavare nella coscienza umana. Più che la persona di potere, gli interessava la persona in quanto tale. Lo si vede nei suoi racconti: ciò che cerca più di tutto è la voce della sua coscienza di uomo (espressa dal Cristo con cui parla don Camillo), quella che, dopo la buriana di tanti scontri, fa ritrovare i suoi personaggi uniti, anche dopo i peggiori litigi. “Infatti si diverte a sparigliare le carte — continua Barzi —. Il sindaco comunista Peppone è lontano ideologicamente da Guareschi (è anche più ingenuo e sprovveduto), ma a volte ne esce meglio di don Camillo. In chiunque, anche in un “trinariciuto”, cioè colui che è preda dell’ideologia, vuole recuperare il senso del bene comune, della pietà umana, della solidarietà. Per l’aria che tirava nel dopoguerra, nel racconto Il Vittorioso (episodio 85 dei racconti del Mondo piccolo, pubblicato nel primo volume della nostra collana) fa un’operazione a dir poco coraggiosa: narra di un uomo a letto in fin di vita. Aveva avuto un figlio morto in guerra. Sul punto di morire i figli gli dicono che l’Italia ha vinto la guerra e lui muore contento perché il sacrificio del figlio non è stato inutile. L’intento di Guareschi è chiaro: non c’è idea su cui non debba vincere la pietà umana”.
Quando, nel racconto L’angelo del 1200 (che apre il volume 14) si legge che Peppone non solo aiuta don Camillo a riportare la statua dell’angelo sulla guglia della chiesa, ma tutto soddisfatto, guarda in alto e lo saluta con un: “ciao compagno!”, si capisce che l’interesse di Guareschi è per la qualità della stoffa umana, più che per i suoi credo.
E si capisce anche quanto amasse la concretezza della vita e diffidasse dell’astrazione. In un altro episodio fa dire al suo Cristo che la parola di Dio è come un seme, ma per chi non la capisce diventa un concetto. E a Peppone, che si ribella quando il partito espelle un suo membro dopo che questi si è dimesso: “I paragoni sono l’oppio dei popoli”. Oppure, nel racconto Alla fiera di Milano (che dà il titolo al volume 15), mentre Peppone si spertica in complimenti per i prodotti dell’Unione Sovietica, don Camillo si ferma a esaltare le aziende italiane, che sono l’espressione della sua gente.
Il primato della coscienza personale però non è individualismo. Alla fine domina l’amicizia. In una tornata elettorale, Peppone vota per la Dc e don Camillo per il Pci, ognuno con il segreto scopo di sostenere l’altro. E l’amicizia non è buonismo, ma conoscenza: conoscere i propri compatrioti, ebbe a dire Guareschi, permette di “comprendere e perdonare molte cose degli altri e di controllare meglio se stessi”. Infine, la storia comune unisce e va salvaguardata. In un altro episodio, durante alcuni lavori pubblici, nessuno, nemmeno chi non è religioso, se la sente di abbattere una cappelletta, perché la Madonnina che vi è raffigurata ha guardato per tanto tempo tutte le vicende del paese, quelle di chi crede in Dio, ma anche quelle di chi non ci crede.