Il ministro Mariastella Gelmini ha inteso governare il passaggio tra la prima e la seconda lettura del regolamento sui nuovi licei attraverso l’istituzione di una cabina di regia, il cui compito è di essere il centro di raccolta dei pareri formali e informali intorno al testo. Si tratta di un gruppo composto prevalentemente da insegnanti e dirigenti scolastici, da persone che vivranno il cambiamento che stanno essi stessi predisponendo.
Queste settimane ci vedono impegnati a raccogliere le indicazioni che stanno provenendo dal sito internet http://nuovilicei.it, dove il regolamento approvato in prima lettura è commentato articolo per articolo; si stanno svolgendo sei seminari nazionali, uno per ciascun indirizzo liceale, dove abbiamo chiamato a riflettere sui percorsi insegnanti e dirigenti scolastici; sono stati già convocati i forum degli studenti, dei genitori, delle associazioni professionali.
Un confronto tutt’altro che formale e che, di concerto con i pareri delle commissioni parlamentari, del consiglio nazionale della pubblica istruzione e del consiglio di stato, si sta traducendo in alcune proposte di modifica al testo base.
Ci sono alcuni elementi che corrono trasversalmente lungo la maggioranza dei commenti, in un confronto vivace ma sempre estremamente concreto.
La doppia strada che abbiamo intrapreso – ridurre la pletora oraria nell’ordinamento, dare effettività all’autonomia delle scuole – costituisce una risposta efficace all’esigenza duplice di offrire una scuola insieme coerente nei suoi indirizzi generali e duttile nei confronti delle specificità di ciascun contesto, da non ingabbiare nella rivendicazione, legittima o meno, di autonomi spazi disciplinari.
L’aver innalzato l’obbligo sino ai sedici anni di età, provvedimento del precedente governo cui il ministro ha deciso di dare conferma e continuità, va sussunto nel principio del diritto dovere all’istruzione “per almeno 12 anni o comunque sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età”.
Dobbiamo muoverci tra due distinte esigenze. La prima punta ad offrire ai nostri giovani le risorse culturali, la cassetta degli attrezzi necessaria loro per leggere la realtà, renderli cittadini consapevoli delle proprie scelte e utile a rendere non solo fittizio il processo del lifelong learning. La seconda punta a diversificare la proposta formativa: i licei, gli istituti tecnici, gli istituti professionali, i percorsi di istruzione e formazione professionale sono strade per dare a ciascuno la “sua” scuola, una possibilità qualificata per imparare e mettere a frutto i propri talenti.
Il buon senso ci dice che, proseguendo sulla logica dei quattro assi culturali declinati dal DM 139/2007, occorra edificare pilastri su cui poggiare le materie di indirizzo. L’italiano, la lingua straniera, la matematica, le scienze sperimentali, la storia rappresentano questi pilastri, la cui armatura è costituita da un “core curriculum” di conoscenze, abilità e competenze comuni da incrementare attraverso le piegature che possono assumere percorso per percorso, scuola per scuola, insegnante per insegnante, senza più inseguire la chimera dei programmi omnicomprensivi che costringono l’insegnante a scegliere e non ad arricchire attraverso la propria capacità didattica. E avere dei “core curriculum” potrà aiutare il faticoso processo di valutazione nazionale degli apprendimenti, costituire magari l’essenza di quella prova nazionale aggiuntiva rispetto al tradizionale scritto di italiano e alle prove specifiche dei vari indirizzi, prova auspicata dal Ministro Gelmini in occasione dell’ultima prova nazionale Invalsi al termine del primo ciclo.
Il buon senso ci dice anche che i percorsi vanno ben definiti. Proprio la scelta di fondare l’edificio scolastico su alcuni pilastri impone di sviluppare ancora meglio le specificità. Pensiamo soprattutto ai percorsi che risultano meno delineati, quale il liceo delle scienze umane, ad esempio, risente ancora troppo, nei suoi quadri orari, della vecchia matrice professionalizzante, quando ancora si chiamava istituto magistrale.
È un sudoku complesso, quello dei quadri orari “di ordinamento”. Ogni istituzione scolastica avrà la possibilità di piegarli al proprio progetto formativo. Ma ciò non ci esime dal manifestare il senso di una proposta culturale, compiendo delle scelte laddove il quieto vivere consiglierebbe una semplice manutenzione dell’esistente. Ma quieto vivere e futuro appaiono in contraddizione.