Google sfida la Cina – Il più popolare motore di ricerca al mondo decide di infischiarsene degli obblighi che Pechino gli aveva imposto, pena il probabile oscuramento del sito. Da questa mattina, infatti, Google ha tolto i filtri che impedivano agli utenti cinesi di visualizzare moltissimi risultati di ricerca considerati sconvenienti e dannosi dal regime. E così, ad esempio, riappaiono le foto, le pagine web o i filmati di Youtube dell’uomo che sfidò i carroarmati a Tienamen all’epoca delle proteste del movimento studentesco contro il regime. Altre chiavi di ricerca che ora saranno accessibili dagli utenti cinesi di Google saranno parole finora “impronunciabili” come Dalai Lama, Tibet e Xinjang.
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L’IRA DI GOOGLE – A scatenare l’ira di Google è stata l’infiltrazione degli hacker del regime nelle caselle di posta di molti attivisti per i diritti umani. La maggior parte di queste caselle, account G-mail, appartenevano al gruppo Google. I dirigenti del motore di ricerca sostengono di aver «scoperto un attacco mirato ed altamente sofisticato contro la nostra infrastruttura, originato dalla Cina», come si legge su un blog del colosso di Mountain Views
Google aveva preso la decisione di cooperare con la Cina nel 2006. Il governo cinese permise al colosso di operare nel Paese a patto che impedisse la ricerca, tra gli altri, di siti pro-Tibet o pro-Xianjang. Se Google avesse rifiutato, il regime di Pechino avrebbe, con tutta probabilità oscurato il sito.
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E Google avrebbe perso la fetta, attualmente, più grande del proprio mercato. Ben 300 milioni di utenti, più di quelli americani. Di fronte all’ennesima provocazione, Google ha deciso di sacrificare il business all’immagine. Tornando, dopo la svolta del 2006, alla difesa dei propri principi. Don’t be evil, infatti, è lo slogan di Google.
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DELLE PAGINE DI GOOGLE.CHINA CON LE CHIAVI DI RICERCA PROIBITE
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