Alla vigilia del suo incontro al Meeting di Rimini, previsto per oggi, abbiamo incontrato Matteo Rossetti, milanese, fondatore della Thomson House School di Londra. Si tratta di una free school, una scuola fondata e diretta da cittadini che la gestiscono per conto dello stato. Una libertà di educazione ed un’autonomia totale che la scuola italiana — per ora — nemmeno si sogna. Leggere per credere.
Professore, ci parli della Thomson House School. Come vanno le cose?
Stiamo per cominciare il nostro quarto anno scolastico. La scuola sta andando benissimo sotto tutti i punti di vista. L’educazione offerta dalla scuola è ottima e le nostre finanze sono ottimo stato. Siamo stati ispezionati nel 2015 da Ofsted, l’ufficio governativo che ispeziona tutte le scuole inglesi, ed abbiamo ottenuto una valutazione di “eccellente” in ogni categoria. Al momento in Inghilterra le scuole che sono nel complesso “eccellenti” sono meno del 20%. Quelle che lo sono in ognuna delle quattro categorie sono ancora meno.
Quindi voi siete soddisfatti. E le famiglie?
Il livello di soddisfazione tra i genitori, che misuriamo ogni anno, è altissimo. Il 94% dice che i propri figli sono molto contenti a scuola, e ciò trova riscontro nel loro livello di presenza che è del 98%. Oltre il 95% dei genitori si dice molto contento della scuola ed oltre il 99% la consiglierebbe ad altri.
Riuscite a far fronte alla domanda?
Molte famiglie vogliono iscrivere i figli a scuola, ma ognuno dei 208 posti al momento disponibili è occupato — la scuola raggiungerà la sua piena capacità di 364 posti nel 2019 — e riceviamo cinque volte il numero di application.
Si tratta di una free school, un modello che in Italia non sarebbe possibile replicare, perché qui l’autonomia è dimezzata, solo virtuale. Vuole spiegare brevemente al lettore di che si tratta?
Le free schools sono scuole che sono fondate da cittadini — genitori, professori, università, organizzazioni non governative — che gestiscono la scuola per conto dello stato attraverso una società fiduciaria. Le free schools sono libere di gestire i propri programmi di studio, la lunghezza delle giornate e dei trimestri, le proprie finanze, ed il proprio contratto di lavoro con tutto il personale, incluso professori. Sono gratuite, non possono trarre profitto, e come tutte le scuole sono sottoposte all’autorità di vigilanza dell’Ofsted (Office for Standards in Education, ndr).
Libere di gestire i contratti con i docenti, ha detto?
Una nota importante: in Gran Bretagna c’è un mercato del lavoro dei professori; come per altri lavori, il datore di lavoro (free school, academy, scuola privata, provveditorato locale) pubblica un’inserzione, riceve applications e curriculum vitae, e fa colloqui con i candidati. Ora, noi siamo liberi di fissare i nostri termini contrattuali e livelli stipendiali, ma se questi non sono attraenti non possiamo competere con scuole che seguono il contratto nazionale.
In Italia che lo Stato paghi l’iniziativa di privati in materia di istruzione non è neppure pensabile. Da un lato la Costituzione sembra escluderlo (il famoso articolo 33); dall’altro le paritarie fanno parte dell'”unico sistema di istruzione e formazione” (legge 62/2000), ma la parità è una grande incompiuta. Perché in UK non è così?
E’ importante capire come siano finanziate le scuole statali in UK. Grossomodo, lo stato finanzia le scuole statali (free schools, academies e scuole di provveditorato) a seconda di quanti studenti abbiano. Ovvero, i soldi seguono gli studenti. Ci sono variazioni nel finanziamento per studente a seconda del livello di abbienza di una particolare zona e a seconda del livello del bisogno dello studente, ad esempio perché svantaggiato economicamente o perché ha bisogni educativi particolari. Ora, le free school ricevono esattamente lo stesso finanziamento per studente delle scuole nel loro provveditorato, per cui il costo di gestione allo stato è identico. Anzi, l’eliminazione dell’apparato burocratico nella fondazione e gestione delle scuole e la valorizzazione dell’energia di volontariato portano a dei risparmi: per esempio, nella nostra zona — dove il provveditorato è eccellente e con il quale abbiamo lavorato in grande collaborazione — sarebbe costato 6 milioni di sterline aggiungere una sezione ad una scuola esistente. Noi, con Thomson House, ne abbiamo create due. Infine, non dimentichiamoci che le scuole sono no-profit e che sono sottoposte alla stessa vigilanza delle scuole di provveditorato.
Dunque lo stato paga la free schools, ma cosa “chiede” in cambio?
Come tutte le free schools abbiamo un contratto con il ministro dell’Educazione che stipula i nostri doveri ed i limiti del nostro operato — ad esempio il fatto che non possiamo selezionare accademicamente studenti, non possiamo far pagare rette, e che ci occupiamo dell’educazione di ciascuno) e siamo regolati da company law e charity law. Dal punto di vista della governance, abbiamo il dovere di: garantire chiarezza di visione e direzione strategica; gestire il preside, che deve renderci conto della performance scolastica degli studenti e dei professori; vigilare sulle spese e fare in modo che le finanze siano ben spese.
Come controlla la vostra qualità e chi la verifica?
Fondamentalmente, lo fa attraverso un sistema di ispezione che è lo stesso a cui sono sottoposte tutte le scuole inglesi, un independent audit annuale su conti, procedure e governance che dobbiamo passare al ministero, e attraverso pubblico scrutinio. Abbiamo infatti il dovere di dover pubblicare non solo le nostre policy, i nostri conti ed i nostri risultati scolastici, ma anche i verbali del cda, e dichiarazioni di conflitto d’interessi di ciascun dirigente.
Può approfondire un po’ il tema dell’ispezione scolastica? E’ molto pertinente al dibattito attuale italiano.
L’Ofsted, l’ufficio per gli standard nell’educazione, ispeziona le scuole. Riceviamo 12 ore prima la notifica e l’ispettore arriva a scuola, dirigendo uno scrutinio dettagliato dell’operato scolastico. E’ un processo intenso ma devo dire ottimo. Legge le nostre policy, parla con dirigenti scolastici, entra in classe ad osservare le lezioni — attenzione, non ad osservare come si sta insegnando, ma come gli studenti stanno imparando —, parla con gli insegnanti, guarda i quaderni, le cartellette, i file elettronici degli studenti, l’ambiente scolastico, il comportamento degli studenti, parla con i genitori e considera i risultati ed il progresso degli studenti. Alla fine dell’ispezione rilascia giudizi su: efficacia generale delle scuola; efficacia di leadership e management; qualità dell’insegnamento, dell’apprendimento e della valutazione; sviluppo personale, comportamento e welfare degli studenti; esiti per gli studenti. I giudizi possono essere: “eccellente”, “buono”, “necessita miglioramento” o “non adeguato”. Il report è pubblicato su internet ed è usato dai genitori per scegliere a quali scuole fare domanda. Il giudizio che un scuola riceve determina il periodo tra un’ispezione ed un’altra.
Nella Thomson House School quale progetto educativo avete?
Fondamentalmente, vogliamo creare una scuola che crei le basi perché i nostri allievi possano fiorire e realizzarsi. Poi dirigiamo il nostro programma verso la coltivazione di alcune virtù fondamentali: la curiosità, perché i nostri studenti approccino il mondo con un senso di stupore, desiderio di scoperta e con i mezzi per poter analizzarlo; coraggio, perché possano intraprendere nuove avventure mettendosi in discussione, lavorino sodo e riescano a rialzarsi quando cadono; e compassione, perché capiscano che il loro wellbeing è intrinseco al wellbeing della loro comunità e che il dare, il fare del bene, il servizio, è un bene in sé.
In che modo vi organizzate per raggiungere questi obiettivi?
Ci impegniamo in tre cose. La prima è offrire un curriculum ampio perché ciascun ragazzo possa trovare il proprio “spazio” e noi possiamo scoprire quanti più talenti possibili. Per cui facciamo più sport e più musica di altre scuole, abbiamo un programma di retorica ed uno di azione civica; quest’ultimo parte dal livello minimo e più facile, con i bambini che aiutano a casa al più impegnativo, con gli studenti più grandi che aiutano i più piccoli in lettura o in matematica oppure che vanno a pulire i parchi per poi analizzare e catalogare ciò che hanno raccolto, misurando poi l’impatto di una campagna di sensibilizzazione da loro gestita sulla raccolta di rifiuti successiva.
Vada avanti. La seconda?
L’eccellenza nell’insegnamento: diversi studi dimostrano che la qualità dell’insegnamento è il fattore più importante nel migliorare gli student outcomes; per questa ragione investiamo nella preparazione continua di insegnanti e dirigenti e ci consideriamo una learning community, sempre aperta ad un confronto positivo e robusto, ovvero la paga di ciascun dipendente della scuola è legata alla performance personale.
E la terza?
Un focus sulla famiglia: vogliamo essere una scuola che ha l’atmosfera di una famiglia, dove pertanto ogni studente è conosciuto bene da tutti, ma anche una scuola che si preoccupa dei bisogni e desideri delle nostre famiglie. A parte il fatto che abbiamo genitori che sono eletti direttamente nel consiglio di amministrazione, ci aspettiamo che i genitori partecipino all’educazione scolastica dei bambini, offrendo loro meeting settimanali su parti del programma che stiamo trattando. Abbiamo una open door policy, con i genitori che possono incontrare insegnanti e dirigenti ogni giorno, e ci impegniamo ad offrire loro un servizio professionale, con, per esempio, standard “societari” sulle tempistiche di risposta (cioè entro 36 ore).
A quali modelli educativi vi ispirate?
Le nostre ispirazioni sono molteplici: per quanto riguarda l’esperienza scolastica come esperienza a 360 gradi, sono le tradizionali scuole private inglesi; per quanto riguarda l’insegnamento della retorica, del come parlare in pubblico, un programma che viene dal Massachusetts; per l’insegnamento della matematica, usiamo un programma da Singapore e Shangai; l’idea che gli insegnanti siano dei facilitatori e che guidino progetti di scoperta e l’idea della partecipazione dei genitori vengono da Reggio Emilia. La cosa importante è avere una vision chiara di ciò che si vuole raggiungere, essere aperti ad imparare da altri ciò che funziona, applicarlo al meglio e valutarne l’impatto.
Quale professionalità deve avere chi dirige una scuola come la sua, una free school?
Bisogna combinare alle professionalità di un preside anche le capacità di un dirigente di start up, flessibilità e ingegnosità. Bisogna anche saper essere leader di una comunità, che ha affidato ad un progetto nuovo una delle cose più preziose, il benessere e l’educazione dei propri figli. Bisogna pertanto apprezzarne le speranze, le paure ed affrontare il proprio lavoro la responsabilità e la dedizione necessarie.
Lei ha mai licenziato dei docenti?
Abbiamo licenziato il nostro primo preside, otto settimane prima dell’apertura della scuola. Aveva un ottimo background, ma in un contesto stabile e tradizionale dove esiste già una mappa di procedure, relazioni e situazioni; il processo di fondazione di una scuola invece è pieno di incognite e tribolazioni. Quando è diventato evidente che le cose non sarebbero migliorate, ne abbiamo preso atto e l’abbiamo licenziato. E’ stata in assoluto la cosa più difficile che abbia fatto nella mia carriera.
Come ci è riuscito?
E’ stato fondamentale fare due cose: avere il bene degli studenti come stella polare, e fare in modo che il confronto all’ interno del cda che ha portato a quella decisione fosse aperto, ragionevole e robusto.
Visto dalla distanza, com’è il sistema scolastico italiano?
Io ho apprezzato profondamente la mia educazione in Italia. Rispetto al sistema inglese per esempio dà un respiro culturale molto più grande. Va anche detto che io sono stato fortunato ed ho avuto degli insegnanti appassionati, ambiziosi e premurosi. Non mi sembra però che la cosa sia sistematica. Penso che il sistema debba mirare ad educare e valorizzare le capacità ed il lavoro degli insegnanti, indipendentemente dal principio di anzianità.
E ora volete andare in Marocco. Com’è nata questa idea folle?
In realtà per circostanza. In Marocco mi ci sono trovato perché mia moglie è stata nominata vice ambasciatrice britannica a Rabat, per cui faccio spola tra lì e Londra. Stando lì però ho visto che si possono fare delle cose utili ed interessanti ed abbiamo un paio di progetti educativi in incubazione. Ma è un contesto difficile, con regole e dinamiche non trasparenti, per cui stiamo cercando dei partner istituzionali.
(Federico Ferraù)