Subito dopo la celebre scena della buonanotte, Shakespeare trasferisce l’azione di Romeo e Giulietta nella cella di Frate Lorenzo, il quale entra portando una cesta:
Il mattino dagli occhi grigi sorride alla cupa notte,
mandando strisce di luce verso le nuvole d’oriente;
e l’oscurità già livida di macchie, come un ubriaco che barcolla,
si allontana dal sentiero del giorno.
Ora, prima che il sole giunga col suo occhio di fiamma
a rallegrare il giorno e ad asciugare
l’umida rugiada della notte,
io devo riempire questo paniere di vimini
con erbe velenose e fiori dal succo prezioso.
La terra è madre e tomba della natura:
il suo sepolcro è il grembo dal quale ha origine
la sua vita; e noi vediamo nascere
da questo grembo figli di varie specie, che succhiano
dal suo seno. Alcuni ottimi per numerose virtù,
e ognuno differente dall’altro.
Oh, come è grande e potente è la virtù che risiede nelle piante,
nelle erbe, nelle pietre, e nelle loro più segrete qualità!
Infatti nulla esiste sulla terra di così umile,
che non possa dare alla terra qualche bene particolare;
e nulla è così buono che, sviato dal suo uso,
non si ribelli alla sua vera natura, cadendo nell’abuso.
La virtù stessa, male adoperata, può diventare un vizio,
e qualche volta il vizio si nobilita per la sua azione.
Sotto la tenera membrana di questo fragile fiore,
c’è insieme un veleno e un potere medico;
infatti, se l’odori, eccita ogni senso,
se lo assaggi, ferma il cuore e tutti i sensi.
Come nelle erbe, così nell’uomo stanno accampati
due re nemici: la grazia e la volontà spietata.
E quella pianta dove predomina la peggiore di queste
forze, è presto divorata dal cancro della morte.
Non può sfuggire come le parole del frate sembrino anticipare l’epilogo tragico della vicenda.
Il brano coglie con forza poetica l’ambiguità del reale, tema caro non solo all’epoca barocca, ma anche a tutti coloro che non si accontentano di uno sguardo superficiale alla natura e al cuore dell’uomo. Beethoven, ad esempio, annotava nel suo diario: Nell’anima come nel mondo agiscono due forze, entrambe ugualmente grandi, ugualmente semplici, desunte da uno stesso principio generale, denominandole principio di forza e principio implorante. Quando si ascolta la sua musica, questo pensiero si avverte in modo quasi immediato e permane anche dopo che le note sono svanite. In questo modo, anche chi non possiede il dono di dire ciò che avverte nel profondo, partecipa della consapevolezza dei grandi.
Il mattino dagli occhi grigi sorride alla cupa notte. Il brano ha un’apertura stupenda, realistica innanzitutto e può suggerire a chi si alza al mattino, poniamo a Milano, di guardare il cielo e di accorgersi che ancora una volta il grigiore che precede la levata del sole ha vinto il buio. E così forse avrà maggiore peso e bellezza il cantico di Zaccaria: Verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte, o la preghiera della Chiesa: Illumina con il tuo amore le profondità del nostro spirito, perché siano liberi dalle suggestioni del male coloro che hai chiamati allo splendore della tua luce.