Magia e incanto delle parole! Tra poco per tutti gli studenti finiranno definitivamente le vacanze e riprenderà la scuola. Se andiamo a riscoprire il significato etimologico di queste due parole, “vacanza” e “scuola”, scopriamo che “vacanza” deriva da un verbo latino (vaco) che significa “sono libero da qualcosa per dedicarmi a qualcosa d’altro”. “Scuola” deriva dal latino schola che, a sua volta, deriva da un termine greco che in antichità voleva dire “tempo libero” e, che, poi, ha indicato “il luogo in cui si trascorre il tempo libero”. Solo più tardi è diventato il luogo in cui si dibattevano questioni filosofiche e culturali o si leggevano testi.
Come sempre, la scoperta del significato originario di una parola è l’occasione per capire il valore autentico delle cose e del tempo. Nomina sunt consequentia rerum ovvero “i nomi sono corrispondenti alle cose” e alla realtà. E, ancora, nomen deriva secondo la tradizione dal termine omen che significa “augurio”, “destino”, “presagio”. Il tempo della vacanza è allora per eccellenza il momento in cui l’adulto e il giovane sono liberi dalle solite occupazioni per dedicarsi ad altro, magari a quelle passioni e a quegli interessi a cui non ci si può dedicare con troppa cura durante l’anno. Le vacanze sono l’occasione per affermare e seguire quanto di bello uno ha incontrato o viceversa per essere provocati dal fatto che non si è ancora incontrato o riconosciuto qualcosa di grande nella vita e allora questa constatazione può diventare provocazione del fatto che vada cercato. In pratica, da come si utilizza il proprio tempo libero spesso si comprende che cosa ci interessa e ci sta davvero a cuore. Anche l’evoluzione del termine “scuola” ci testimonia che per gli antichi era davvero un’occasione importante quella di ritrovarsi a discutere sulla vita, sulla realtà, sul mondo. Per questo ci si ritrovava, per scoprire il senso e il valore della vita e della realtà.
Mi sembra importante ripartire dal significato del termine “scuola” proprio ora che sta ripartendo l’anno scolastico che è diventato troppo spesso sinonimo di noia, fastidio e carcere tetro dal quale evadere il prima possibile. Ora che la scuola è diventata obbligatoria, non più occupazione spontanea del proprio tempo libero, deve conservare ancora quella scaturigine da cui è nata, quella sete e quel gusto di sapere, di conoscere, di scoprire, di incontrare, di dialogare.
Non c’è risposta a una domanda che non si pone. Per tutti, insegnanti e studenti, non è possibile ricominciare, varcare la soglia della classe, incontrare compagni e colleghi, professori e alunni, senza essere animati dal desiderio che possa accadere qualcosa di grande nelle giornate. Il desiderio. Questa è la chiave perché i docenti e gli studenti possano affrontare le lezioni e l’incontro con nuovi compagni animati da quello stesso entusiasmo e da quella trepidazione che si provava il primo giorno. Altrimenti come non farsi prendere dalla monotonia, dal cinismo, dal sentimento comune che tanto non cambierà mai nulla?
L’augurio è che il cammino dell’insegnante e del ragazzo possa essere una vera esperienza. Da cosa si misura un’esperienza? Dall’esito, dalle delusioni, dai risultati, sì in parte anche da questo, ma soprattutto dal fatto che quanto si vive divenga occasione per essere più uomini e più umani, per capire un po’ meglio la propria persona, la strada e che cosa abbia a che fare quanto viviamo con il nostro desiderio di felicità. Quando fai esperienza davvero, lo capisci, perché guadagni qualcosa di te e della realtà.
Soltanto quando sei colpito da qualcuno o sei affascinato da lui o inizi a volergli bene allora scopri una parte di realtà fino ad allora sconosciuta e il rapporto diventa metodo e strada, come afferma Antoine de Saint Exupery ne Il piccolo principe quando la volpe parla con il piccolo protagonista: “Se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo. […] I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano“. La volpe d’ora innanzi, grazie all’affetto provato per il principe, rivaluterà e inizierà ad apprezzare e a capire un aspetto della realtà che fino ad allora era stato percepito come negativo. “Non si conoscono che le cose che si addomesticano“, ma per addomesticare occorre tempo. Così, “gli uomini non hanno più il tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici“. L’affettività può sanare la frattura tra una volontà fragile e malata e una ragione che, se utilizzata senza incrostazioni, sa discernere il bene dal male. Per questo una compagnia umana e un’amicizia sono strumenti imprescindibili per mantenere desta la domanda, per ricercare e per operare.
Bambino, ragazzo, adulto stanno tutti sulla stessa barca. E hanno tutti bisogno di un maestro per riscoprire che “l’alba non è una cosa ovvia“. Ci auguriamo che in qualche modo per tutti la scuola possa essere non un semplice luogo di trasmissione di informazioni e di cultura, di disciplina e di discipline. La scuola deve essere un luogo in cui l’io del ragazzo si sente fiorire, crescere, germogliare nel desiderio che la propria persona possa scoprire i propri talenti e metterli al servizio di tutti. Perché ciò avvenga è indispensabile che si metta al centro la persona, che si viva l’avventura dell’insegnamento e dell’apprendimento come scoperta. Sì, scoperta di sé e scoperta dell’altro, scoperta di un cuore che accomuna il ragazzo di dieci o diciotto anni all’insegnante che si avvicina per la prima volta alla cattedra o, viceversa, sta per andare in pensione. In questo modo si può riconoscere il valore dell’altro che è segno del Mistero che l’altro ha dentro. Questo è l’amore. Che la propria pienezza, la propria realizzazione è fatta coincidere con l’affermare l’altro.
Come fare allora? Non fidiamoci dal fatto che la cultura e la società di oggi ci dicano che essere adulti significhi essere autonomi e fare da soli. Non fidatevi, ragazzi, dell’istinto che avete ora di fare da soli perché vi sentite grandi. Cammina davvero e apprezza il cammino compiuto solo chi ha un maestro e una compagnia, ragazzo o adulto che sia. La bellezza che si incontra nella vita deve essere condivisa con gli altri: non è un imperativo morale astratto, ma una necessità innata del nostro cuore. Lo capiamo nell’esperienza quando siamo in un luogo bellissimo o facciamo un’esperienza stupenda e sentiamo l’urgenza di comunicarlo alle persone che ci sono più vicine e amiche.