Gli attentati dell’11 settembre 2001, seguiti da altri atti terroristici ben noti, segnano, per il mondo occidentale, una più chiara presa di coscienza della pericolosità di un fenomeno già sparso in una buona parte del mondo: il terrorismo jihadista. Un fenomeno che va di pari passo con la persecuzione dei cristiani, che è in continuo aumento secondo le statistiche di “Aiuto alla Chiesa che soffre”. Tali violenze trovano oggi un terreno fertile nelle diverse situazioni createsi in seguito all’ondata della cosiddetta “primavera araba”. Questo è il contesto in cui naviga il lettore del libro di Mario Mauro e Matteo Forte, Contro la croce. Infatti l’acuirsi del problema dello “stato islamico”, che attira sempre di più l’attenzione dei media, aumenta il bisogno di conoscere le radici di questo movimento insieme alla realtà degli eventi che si consumano nel Medio Oriente. Da qui l’importanza di un testo che approcci in modo chiaro ed equilibrato questa situazione, offrendo al lettore un quadro ricco ed illuminante, in un linguaggio semplice ed accessibile.
Gli autori vanno alle radici: da una parte una guerra secolare fratricida che vede protagonisti le due principali confessioni dell’islam: i sunniti e gli sciiti, entrambi capeggiati da due Stati teocratici, l’Arabia Saudita per gli uni e l’Iran per gli altri. Il libro spiega le manifestazioni recenti di questo scontro antico, che si rinnova e si rinvigorisce grazie a grandi alleanze politiche. Dall’altra parte un Medio Oriente diviso in Stati “inventati” dall’accordo Sykes-Picot, seguito al primo conflitto mondiale e fatto sulle ceneri mai spente dell’impero ottomano. Senza dimenticare la nascita dei nazionalismi arabi agli albori del secolo scorso, e insieme a questi le correnti islamiche che li guardano non senza sospetto, considerandoli una forma di tradimento dell’islam.
Ecco la complessità della situazione odierna, causata da «elementi autoctoni che […] si innestano su un più vasto contesto geopolitico che vede, quello sì, tra i suoi attori principali l’Occidente» (p. 38). In questo quadro gli autori raccontano come l’intrecciarsi degli interessi economico-politici dei Paesi occidentali con l’ambizione dei regnanti sauditi, principali diffusori della corrente islamica wahabita, favorisce la crescita di un movimento jihadista globale: «I petrodollari che coprono d’oro la casa saudita altro non divengono, quindi, che la leva attraverso cui esercitare questo potere autoconferitosi all’interno del mondo musulmano: chi è con i regnanti di Riyadh è anche oggetto della loro carità» (p. 42).
Al loro fianco emergono anche le ambizioni neo-ottomane di Erdogan, che non fanno altro che aggravare una situazione già di per sé complessa. Mentre in contrapposizione osserviamo il consolidamento di una «”asse sciita” che, da Teheran a Beirut, passando per Damasco, lega la Repubblica degli ayatollah all’ultimo regime laico della Siria fino agli Hezbollah libanesi. Asse a cui si oppongono, talvolta in modo unitario e talvolta in modo divergente, i paesi sunniti del Golfo insieme alla Turchia, negli ultimi anni impegnata con il premier Erdogan in un braccio di ferro interno con le istituzioni laiche e il potere militare, nel continuo tentativo di riacquistare un ruolo di guida nel mondo musulmano» (p. 48).
L’analisi del libro non si esaurisce in pure informazione, giacché Mauro, in veste di testimone oculare, presenta insieme a Forte l’aspetto umano di un tema estremamente complesso, spesso trattato dalla Stampa occidentale in modo riduttivo. Infatti Mauro ha incontrato in Iraq i volti spaventati degli sfollati che sono dovuti fuggire dalle violenze dell’Is, e insieme alla paura ha colto in loro anche l’attesa e la speranza. Con l’abilità del politico e la fede del cristiano, gli autori danno voce a queste persone, perseguitate perché portano il nome cristiano e insieme ad esso la croce del loro Maestro. Il testo non è, dunque, un semplice racconto informativo, bensì una prospettiva ricca, radicata nella speranza cristiana, messa oggi a dura prova, ma mai spenta. Gli autori aiutano i cristiani occidentali a rispondere alle domande circa il senso della violenza subita dai loro fratelli orientali. Infatti, è lecito domandarsi se abbia ancora senso la presenza cristiana in quell’area geografica tinta, perlopiù, del colore nero del califfato. Che missione potrebbe avere una comunità piccola e sfinita dalle sofferenze? Mauro e Forte non esitano ad individuare nei cristiani del Medio Oriente l’elemento di stabilizzazione di tutta la regione. Essi, pur essendo visti dalle due parti contese come un “terzo incomodo”, restano la garanzia di una società capace di accogliere al suo interno il diverso: «La verità è che nel mondo islamico torneranno a convivere anche sunniti e sciiti solo attraverso il riconoscimento di una presenza delle comunità cristiane come un fattore rilevante per la vita di quelle realtà nazionali. Se non altro per ragioni storiche, che registrano quella presenza in quei luoghi da prima dell’avvento dell’islam stesso» (p. 25).
I cristiani restano, di fronte ai grandi numeri di una catastrofe umanitaria, un segno piccolo e fragile, ma nella loro apparente fragilità portano una reale efficacia per il futuro dei loro Paesi che, in un modo o in un altro, si riflette sulla scena mondiale. Grazie ai cristiani il Medio Oriente stenta a trasformarsi in un “buco nero” di intolleranza e violenza. Questo i cristiani lo fanno non solo con la testimonianza individuale, ma anche con le loro innumerevoli opere nel campo educativo, sanitario e caritativo, rivolte a tutti senza alcuna distinzione, insieme alla loro perseverante preghiera per i propri persecutori. Allora «la difesa di questa presenza non va identificata con una battaglia identitaria, ma coincide con la difesa di reali spazi di libertà e sviluppo per tutta quell’area» (p. 120). Per questa ragione gli autori formano una specie di invito alla comunità internazionale, e specialmente a quella europea, per un’azione politica che serva realmente «per una prospettiva fondata sulla convivenza umana che apre una strada percorribile» (Ibid).
Nel frattempo, ad Aleppo, abbiamo voluto la Porta Santa per profittare della grazia di questo Anno Santo. La cerimonia ha avuto luogo sabato 12 dicembre nella chiesa di S. Francesco, con la partecipazione di tutti i riti cattolici di Aleppo e la presenza di moltissimi fedeli. L’abbiamo voluta come segno di speranza, perché il Signore è sempre misericordioso e padre clemente e provvidente anche in mezzo alle difficoltà in cui viviamo. La vogliamo a difesa dalla violenza e dalla morte, perché solo l’amore e la misericordia generano la vita e la nascita di una nuova società.
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Mario Mauro, Matteo Forte, “Contro la croce. Il martirio dei cristiani in Medio Oriente”, Itaca, Castel Bolognese 2015