E’ in scena a Roma lo spettacolo “Giudizio Universale. Michelangelo e i segreti della Cappella Sistina”. Lo cura Marco Balich, con la collaborazione dei Musei Vaticani e di molti artisti di valore. Balich è un talento italiano che ha realizzato grandi eventi, comprese le cerimonie inaugurali di due Olimpiadi. Formalmente la qualità realizzativa è alta: musiche, luci, danza, grandi effetti speciali, come quando improvvisamente, grazie ad una proiezione, la platea sembra trovarsi nel mezzo di piazza San Pietro. La critica però non è concorde: alcuni hanno lodato la sintesi di generi, ma altri, come La Stampa, lo hanno stroncato. Sul piano dei contenuti ci sono particolari discutibili: ad esempio, i papi sono rappresentati secondo i soliti cliché; oppure, la creazione è accompagnata da tuoni, lampi e grancassa d’orchestra (ma all’inizio del mondo non c’era soprattutto silenzio, come in ogni alba?). Non manca il solito parallelepipedo misterioso, che ricorda quello di Kubrick, intorno a cui ronzano gli uomini. Insomma: qualche luogo comune, fatto forse per catturare la benevolenza emotiva del pubblico. E in effetti le scolaresche, numerose, applaudono, nei punti prestabiliti. Meno veniali sono altre trascuratezze. Giunti al climax della narrazione, quando si deve finalmente raccontare dell’affresco del Giudizio, ci si aspetterebbe qualche attenzione al Cristo che giudica. Quello è il cuore dell’opera, un gesto levato a dividere che dà senso al tutto. Invece no. Nello spettacolo di Balich c’è il Giudizio ma non c’è il Giudice.
C’è poi un altro aspetto più generale, di cui però non han colpa gli autori. Siamo in un tempo in cui la rappresentazione visiva è preferita alla realtà che rappresenta. Nei musei non si guardano i quadri, ma i video che li riproducono. Quando passa una celebrità la folla lo fotografa, ma senza vederlo. Ci sono immagini che aggiungono e immagini che tolgono. Le prime sono significative, dicono qualcosa in più, magari anche solo un punto di vista inaspettato o difficile da cogliere naturalmente. Le seconde possono essere dannose, quando mentono o censurano, o anche semplicemente fastidiose, non fosse altro perché ci tocca periodicamente cancellarle dai nostri smartphone. Ora, poiché lo spettacolo è in scena all’Auditorium della Conciliazione, a poche centinaia di metri dal Vaticano, anche se dà molta emozione, c’è da sperare che nessuno se ne senta appagato. Nella Cappella Sistina, quella reale, non ci sono colpi di scena, né effetti speciali, né brividi emotivi. Per di più c’è sempre gente, giapponesi che spingono, chiacchiericcio e niente buio in sala. E alcune parti sono davvero in alto. Consiglio comunque di iniziare da lì, magari con una buona guida e solo dopo, a piacere, di passare allo show.