Una delle questioni più appassionanti della storia della fisica è forse il modo attraverso cui si è raggiunta la certezza sull’esistenza degli atomi, la cosa più importante in assoluto della fisica e della chimica. Basti pensare che l’informazione principale sullo stadio raggiunto dall’uomo nella conoscenza della natura, che si trova impressa sulla targa lasciata sulla Luna dall’equipaggio dell’Apollo 11, è la teoria atomica: la materia è costituita da atomi. Ma gli atomi, si sa, non sono direttamente osservabili. Celebre la frase sprezzante di Ernst Mach rivolta a Ludwig Boltzmann: “Io non credo che gli atomi possano esistere!”.
La questione centrale è allora: come si raggiunge la certezza che un fenomeno di per se non osservabile è reale? Il punto per me sorprendente è che, al culmine dell’avventura scientifica dell’uomo, il modo con cui si raggiunge la certezza su un fenomeno non osservabile direttamente è sempre di evidenziare un fenomeno osservabile che non può esistere senza affermare in modo incontrovertibile l’esistenza del fenomeno non direttamente osservabile, ma all’opera nella realtà. È reale se è all’opera.
Alla fine dell’800 si sviluppò un grande e spesso feroce dibattito sull’ipotesi atomica. Dopo alcuni timidi tentativi da parte di alcuni chimici, la vecchia questione filosofica greca, era stata ripresa da Boltzmann che nel 1872 pubblica la famosa memoria sulla teoria cinetica dei gas e sull’interpretazione statistica dell’entropia, in cui l’ipotesi atomica ha un ruolo fondamentale, anche se, a questo livello, resta solo una ipotesi. A parte molti filosofi, in ambito scientifico i più strenui oppositori dell’ipotesi atomica furono gente del calibro di Wilhelm Ostwald, uno dei più celebri chimici dell’800 che ricevette il premio Nobel nel 1909, e lo stesso Mach, uno dei maggiori fisici del periodo, che studiò e sistematizzò a fondo la meccanica classica.
Sulla base di un positivismo portato alle estreme conseguenze, questi celebri scienziati erano convinti della validità del cosiddetto principio di Mach: solo i sistemi visibili sono reali, ciò che non è osservabile e misurabile non può esistere nella realtà. L’idea degli oppositori era che l’ipotesi atomica fosse una costruzione matematica astratta, con l’unico scopo di “aiutare” la meccanica statistica ad interpretare la termodinamica in termini meccanicistici, non una vera realtà nella natura delle cose.
Per capire la portata ideologica del dibattito basti pensare che in Francia l’ipotesi atomica fu bandita dall’insegnamento nelle scuole. Il termine non si poteva usare neanche come ipotesi, e questo portò a conseguenze disastrose sull’insegnamento, sulla ricerca e sullo sviluppo industriale. Boltzmann, molto angustiato per questo che considerava un attacco personale alla sua opera di scienziato, nel tentativo di contrastare gli oppositori e soprattutto Mach, cercò di scendere su un terreno non scientifico. Iniziò cosi un contrasto mantenuto sempre a livello filosofico/virtuale, che nulla aveva a che fare con la realtà delle cose. Tra l’altro questa incomprensione portò Boltzmann alla depressione e fu probabilmente una delle cause del suicidio nel 1906.
Perché si abbia la prova inconfutabile che l’ipotesi atomica è una realtà oggettiva, bisogna aspettare il 1905. In quell’anno infatti, Albert Einstein pubblicò tre lavori fondamentali: il celeberrimo lavoro sulla relatività ristretta, un lavoro sulla spiegazione dell’effetto fotoelettrico, che gli valse formalmente il premio Nobel, e un lavoro sulla interpretazione del moto Browniano. Anche se quest’ultimo è meno noto degli altri, è il lavoro in cui Einstein dimostra in modo incontrovertibile l’esistenza degli atomi.
Nel 1896 il botanico Brown aveva osservato il moto continuo e casuale di polline in acqua. Tutti i tentativi di spiegazione erano falliti, fino a che Einstein non ipotizza che il moto fosse il risultato combinato di due effetti, uno dei quali strettamente legato all’azione incessante degli atomi. Poiché lo scarto quadratico medio della distanza percorsa dalle particelle di polline è una quantità osservabile, Einstein riuscì a dimostrare formalmente che questa quantità dipende unicamente da una caratteristica microscopica che è propria degli atomi. Di conseguenza, il moto disordinato (macroscopico) del polline diventa un modo con cui dimostrare l’ipotesi atomica. Al di là della spiegazione tecnica, la cosa interessante è l’uso che Einstein fa di una osservazione macroscopica del moto, che diventa una “finestra” sul moto microscopico, e non osservabile direttamente, degli atomi. In altri termini, Einstein usa un fenomeno osservabile e documentabile, come firma dell’esistenza scientificamente certa di un fenomeno non osservabile.
Ma proprio nell’annus mirabilis di Einstein e della certezza dell’ipotesi atomica, Gilbert K. Chesterton scriveva profeticamente «Tutto sarà negato e tutto diventerà una credenza. Sarà una posizione ragionevole negare l’asfalto della strada, mentre il fatto di affermarlo diventerà un dogma religioso. Sarà una tesi razionale dire che viviamo tutti in un sogno, sarà sano misticismo dichiarare che tutti siamo svegli. Si faranno roghi per certificare che due e due fan quattro. Si sfodereranno le spade per provare che foglie sono verdi in estate. Saremo condotti a difendere non soltanto le incredibili virtù della vita umana, ma qualche cosa di più incredibile ancora: questo meraviglioso universo che ci sta di fronte. Combatteremo per i prodigi visibili, come se fossero invisibili. Contempleremo l’erba impossibile e i cieli con uno strano coraggio. Saremo tra coloro che hanno visto e perciò hanno creduto». (G. K. Chesterton – Heretics, 1905).
La “profezia” di Chesterton è oggi uno dei fenomeni più drammatici che si osserva nel contatto quotidiano con gli studenti più giovani, che è la disintegrazione della realtà dalla loro vita. Infatti, all’inizio del corso di studi, gli studenti sembrano incapaci dell’uso della ragione, e si osserva una fragilità ed una difficoltà oggettiva anche ad accettare un principio di non contraddizione: un fenomeno che si osserva nella realtà non può avere come spiegazione inconfutabile due argomenti contraddittori. Invece mi sorprendo sempre come purtroppo, per moltissimi di loro una realtà virtuale si sovrappone alla realtà oggettiva, per cui una stessa cosa può essere vera e falsa allo stesso tempo. Sta a chi osserva decidere cosa è reale e cosa non lo è, cosa è vero e cosa è falso, e quindi la realtà macroscopica che si osserva (le foglie verdi, il Sole e le stelle come diceva Chesterton, non solo gli atomi!) perde di significato. Questo è sconcertante per uno studente di Fisica, per cui l’affermazione “le cose esistono!” sta alla base di ogni approccio allo studio.
Con l’uso del web e lo sviluppo della visualizzazione, si è diffuso in questi anni un certo modo di insegnare che, a partire da realtà virtuali, consente di simulare un fenomeno su un qualsiasi computer e di visualizzarne i processi dinamici. Questo, unito alla fragilità strutturale degli studenti nel metodo di approccio alla realtà, può portare a conseguenze abbastanza disastrose sulla dinamica conoscitiva. Per esempio, è esperienza comune osservare i nostri figli piccoli che fanno dei veri e propri esperimenti lasciando cadere appositamente degli oggetti, e ripetere l’esperienza fino alla acquisizione di una certezza: gli oggetti cadono verso il basso. Il processo, simulato, consente invece di cambiare i parametri in modo che l’oggetto “cada verso l’alto” e la visualizzazione rende questa dinamica, che non esiste nella realtà, sovrapponibile con il fenomeno reale che abbiamo imparato da bambini. Negli studenti alle prese con un dottorato di ricerca, o anche in borsisti o assegnisti, in alcuni casi la dinamica si manifesta quasi a livello di “rifiuto” della realtà fisica, quando questa non combacia con la simulazione scientifica del fenomeno in esame. In altri termini, paradossalmente, alcune volte la dinamica è di usare un fenomeno reale come test per lo stesso fenomeno simulato, anziché l’ovvio contrario.
Contando sulla passione degli studenti per la materia che hanno scelto di studiare, e facendo intravvedere nelle materie specifiche che si insegnano quali sono i punti nodali in cui si è andata maturano una più profonda conoscenza della natura sulla base dell’uso della ragione per porre la domanda corretta alla realtà e saperne leggere la risposta, è possibile aiutare gli studenti a fare un primo passo verso l’uscita da questa atrofia che si portano dietro.
In un momento in cui l’Università è alle prese con il processo delle abilitazioni scientifiche nazionali, in cui la capacità tecnico-scientifica ha un indiscusso valore (misurabile tramite parametri oggettivi) e la “capacità di insegnamento” non ha valore alcuno (tra l’altro nessuno ha ancora concepito parametri quanto più oggettivi per definirla e misurarla), “sfoderare la spada”, cioè riportare gli studenti alla realtà, farli uscire da questa via di fuga che è la realtà virtuale, rimane forse il compito principale dell’insegnamento in Università.