La libera scelta educativa è un principio oramai assodato nell’ambito del quadro normativo della regione Piemonte sul quale sono intervenuti prima il centro-destra con la l.r. 10 del 2003, meglio conosciuta come legge Leo o “buono scuola”, e poi il centro-sinistra con la l.r. 28 del 2007 che espressamente è stata titolata “Norme sull’istruzione, il diritto allo studio e la libera scelta educativa”.
Tali misure hanno consentito fattivamente di salvaguardare la libera scelta educativa delle famiglie piemontesi. Infatti, si è arrestato il progressivo calo di iscritti nelle scuole non statali che vent’anni fa rappresentavano circa il 10% della popolazione studentesca e ora meno del 6%.
Il risultato, tuttavia, non è omogeneo. Se si confrontano i dati relativi ai primi cinque anni di applicazione della libera scelta educativa, vale a dire il 2008 con il 2004, si può osservare che l’incremento di iscritti nelle scuole non statali (508 unità) si deve alla scuola primaria (694) e alla secondaria di I grado (505), mentre nella secondaria di II grado gli studenti sono diminuiti (–691). Inoltre, tale aumento è avvenuto solo nelle provincie di Novara, Biella, Torino e Alessandria. Nella scuola statale l’incremento percentuale degli iscritti è stato superiore, ma ciò è dovuto esclusivamente per l’apporto degli studenti stranieri che essenzialmente per motivi reddituali non possono optare per una scuola non statale.
È doveroso, tuttavia, ricordare che il centro-sinistra aveva esordito il suo mandato legislativo con l’intenzione di cancellare i buoni scuola, ma l’azione politica di alcuni consiglieri regionali e l’opposizione popolare ne hanno scongiurato la completa rimozione. Tra le diverse iniziative organizzate del Movimento Scuola Libera ricordiamo brevemente il convegno del 3 dicembre 2005 con più di duemila partecipanti insieme all’arcivescovo di Torino S. E. Severino Poletto e una mozione di legge accompagnata da trentasettemila firme.
L’intervento del centro-sinistra ha, comunque, significativamente inficiato gli effetti della prima legge sulla libera scelta educativa: ha ridotto i fondi annuali portandoli da 18 milioni di euro a 13; ha abbassato le soglie massime di reddito per cui meno famiglie possono beneficiarne; ha ridotto sensibilmente i contributi per le famiglie delle fasce maggiori; ha in modo ingiustificato impedito la possibilità di cumulare gli assegni di studio per la copertura delle spese di iscrizione e frequenza (buono scuola) con quelle inerenti ai libri di testo, alle attività formative e ai trasporti (diritto allo studio).
Inoltre, l’attuale giunta regionale di centro-sinistra ha progressivamente ritardato i tempi di emissione dei contributi, a oggi non sono ancora stati distribuiti quelli relativi all’anno scolastico passato, continuamente posticipato l’emissione del bando, che con il centro-destra era ad inizio anno scolastico, e trasferito la gestione della raccolta delle domande ai comuni con modalità differenziate e spesso macchinose per le famiglie.
Su ciascuno di questi punti i prossimi consiglieri regionale piemontesi dovranno intervenire doverosamente, ecco perché la battaglia continua.
Tuttavia, i dati riportati dalla Banca Dati Decisionale dell’Istruzione della Regione Piemonte evidenziano un altro risultato che può realmente inficiare le norme a favore della libera scelta educativa.
Nello stesso periodo 2004-2008 in Piemonte sono state chiuse 37 sedi di scuole non statali a fronte di un incremento di 35 sedi statali, non solo ma in alcune provincie non sono più presenti determinati gradi scolastici o sono estremamente limitati in numero, è il caso della provincia di Vercelli dove non esistono più scuole secondarie di I e di II grado e le scuole primarie sono solo tre, oppure la provincia di Biella con una sola scuola secondaria di II grado, due di I grado e tre scuole primarie, situazione simile si presenta anche nella provincia di Cuneo.
È chiaro che nessuna libera scelta educativa sarà possibile se il luogo dove poterla esercitare è inesistente.
Si rende, quindi, necessario individuare nuovi interventi. La scuola è un’impresa e come tale potrebbe essere sostenuta con gli stessi strumenti che la Regione Piemonte adotta per qualsiasi settore produttivo, misure che potrebbero essere utilizzate sia per aprire una nuova sede, o ampliarla, o ristrutturarla. Ecco un’altra ragione per la battaglia.
Anche in questo caso i beneficiari finali saranno tutte le componenti del sistema scolastico regionale e l’intera collettività, e come è stato più volte dimostrato, scuola statale compresa.