INT. Sergio Brovelli
Si può proprio parlare di ricerca ‘brillante’: è quella condotta da un team dell’Università di Milano-Bicocca in collaborazione con l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova e che riguarda una nuova vernice a base di speciali nanoparticelle fluorescenti. Lo studio, del quale riferisce un recente articolo sulla rivista internazionale Nature Communications, è stato realizzato da un gruppo del Dipartimento di Scienza dei Materiali della Bicocca, coordinato dai fisici Sergio Brovelli e Francesco Meinardi, in collaborazione con un gruppo dell’IIT guidato da Iwan Moreels. L’oggetto sono le vernici luminescenti per sensori di gas o di pressione, anche note come pressure sensitive paints, costituite da particolari materiali, detti cromofori, dotati di una specifica sensibilità a sostanze chimiche gassose. Quando opportunamente illuminati, i cromofori brillano con un’intensità che dipende dalla pressione del gas a cui sono soggetti.
«Il fatto è – dice a ilsussidiario.net Sergio Brovelli – che quelli attualmente utilizzati, che sono tipicamente dei coloranti organici, sono luminescenti e molto brillanti ma si spengono in presenza di ossigeno a causa dell’effetto ossidante irreversibile di quest’ultimo». D’altra parte, la realizzazione di una vernice sensibile alla pressione e che si comporti diversamente, cioè che aumenti la propria intensità luminosa in presenza di ossigeno, è stata finora impedita dalla mancanza cromofori adeguati. «Noi abbiamo utilizzato delle nanoparticelle di semiconduttori, precisamente Seleniuro di Cadmio, in forma di nanofogli dello spessore di circa un nanometro composti da tre-quattro monostrati di atomi, e abbiamo dimostrato la capacità, finora inedita, di questo materiale di svolgere la funzione desiderata. Queste nano particelle hanno la peculiarità che l’ossigeno invece di spegnere la loro luminescenza la accende: questo perché l’interazione con l’aria, a differenza delle molecole organiche, spegne quei processi responsabili della soppressione della luminescenza, quindi la intensifica».
Per arrivare al risultato i nanoscienziati hanno fatto prove di luminescenza, quindi di emissione di luce, in diversi regimi di pressione arrivando alla conclusione che l’aumento della pressione fa accendere il materiale. «Abbiamo fatto anche esperimenti più complessi, di elettrochimica, ricreando condizioni simili all’assenza o presenza di ossidanti in modo molto controllato, per poter studiare situazioni in cui la vernice viene messa in sovrapressione di ossigeno: qui la nostra vernice diventa ancor più luminescente». Generalmente le vernici luminescenti vengono impiegate in studi di aerodinamica: rivestendo un modello di un velivolo o di un’automobile con queste vernici e illuminandolo con luce ultravioletta, si ottiene l’immagine della luminescenza delle sue superfici. Dopo di che, se si immette un flusso d’aria, come può avvenire in una galleria del vento, su alcuni punti delle superfici ci saranno dei moti non laminari, delle turbolenze, degli accumuli di pressione; guardando l’oggetto illuminato, cioè la sua mappa di luminescenza, si può vedere in quali punti ci sono determinati valori di pressione.
La luce emessa dalla vernice infatti può essere rilevata da una fotocamera ed elaborata da appositi software che, ricostruendo l’immagine del modello, permettono di risalire alla pressione di gas in ogni punto della sua superficie. «Nelle zone con accumuli di pressione normalmente la vernice si spegne; nel nostro caso invece si accende. Sono due i vantaggi di avere vernici con questa proprietà. Il primo è che un sensore che, in risposta a uno stimolo, genera un segnale (nel nostro caso la luminescenza) è sempre molto meglio di uno che interrompe un segnale. Il secondo vantaggio riguarda la sensibilità: nelle vernici tradizionali, dal momento in cui si spegne la luminescenza non è più possibile conoscere il valore della pressione; la sonda raggiunge un limite. Un po’, per intenderci, come un termometro che misura da 20 a 100 gradi: se è posto in una zona a zero gradi misurerà sempre 20.
Le nostre vernici, quando la pressione si alza, invece di spegnersi si intensificano e quindi possiamo ottenere misure più accurate della pressione su uno Shuttle o su un satellite o su un aereo che deve raggiungere la stratosfera». Ma ci sono anche applicazioni di uso più comune: come nelle lampadine a basso consumo, che devono avere al loro interno un’atmosfera molto controllata. «Quindi è necessario avere dei sistemi per misurare la pressione in modo molto accurato entro sistemi complessi come può essere il sistema tubolare di una di queste lampadine. Si può pensare allora di introdurre all’interno delle lampadine dei piccoli sensori basati sulla tecnologia che abbiamo ideato e, in fase di collaudo, illuminare la lampadina con raggi UV per controllare l’andamento della pressione».
Mario Gargantini