E’ proprio ora di voltare pagina, nella speranza che la successiva non sia come la precedente. Abbiamo assistito ad una delle peggiori annate della F1, noiosa, litigiosa e caotica. Cominciata con l’introduzione della contestata e demenziale regola sull’assegnazione del mondiale che sarebbe andato al pilota che avesse vinto il maggior numero di gare: non importa se nelle restanti avesse passeggiato a bordo pista a raccogliere margherite! Risultato? Bocciata subito tanto era stupida.
Proseguita poi con la grana diffusori, complice un regolamento poco chiaro che dava il fianco alle interpretazioni e chiusa con un verdetto alquanto scontato. Che cosa sarebbe successo se il tribunale di Parigi avesse dato ragione a Renault, Ferrari, McLaren e compagnia che avevano accusato BrawnGP e Toyota di usare diffusori non regolamentari? Il caos. Senza tener conto che la Brawn GP era a rischio: nata sulle ceneri della Honda, ritiratasi a causa della crisi, la neonata scuderia, in testa al mondiale, non avrebbe retto a una sanzione che l’avrebbe relegata in fondo alla classifica e che le avrebbe precluso la possibilità di raccattare sponsor per proseguire la stagione. La Federazione non poteva permettersi di perdere la Brawn GP e forse anche la Toyota e ha scelto il male minore, comunque sempre male. Con il risultato di vedere, nella prima parte di campionato, classifiche semplicemente ribaltate, dove Ferrari, McLaren, Renault, BMW occupavano le posizioni accanto a Toro Rosso e Force India.
Poi è arrivato il famigerato “budget cup” e alé, sotto con le risse. Minacce dei costruttori di mettere in piedi un mondiale alternativo, minacce della FIA di cacciare tutte le scuderie ribelli, facendo posto a una fila di potenziali nuovi team che, a detta di Max Mosley, facevano la coda non aspettando altro. Un tira e molla durato a lungo e che ha avuto un merito: far capire un po’ a tutti che di Mosley non se ne poteva proprio più e che un altro mandato dell’inglese a capo della FIA avrebbe rischiato di rompere del tutto il bel giocattolino. E Bernie Ecclestone, al solo pensiero che tutto ciò potesse accadere, si è dato da fare.
Ma la cacciata di Mosley doveva avere un prezzo, una testa da far saltare: e quella più a portata di mano e meno complicata da sacrificare era quella di Briatore. Detto fatto. Alè. Scandalo Singapore, processo sommario e giustizia è fatta. Con il manager Renault radiato a vita. Il mondiale, così, è stato salvato, ha visto trionfare una scuderia che in una situazione normale avrebbe combattuto in mezzo al gruppo e ha assegnato il titolo ad un pilota, meritevole certamente, ma non straordinario: Jenson Button. Certo, le regole erano quelle e con quelle ha vinto chi ha saputo interpretarle nel modo migliore.
Ora, appunto, si volta pagina, nella speranza che, con i nuovi regolamenti e con Jean Todt nuovo presidente della FIA, si possa ritornare ad assistere ad uno sport magari un po meno noioso, certamente più leale. Le risse e i regolamenti di conti fanno spettacolo, meglio, in un bel western.