Una soluzione certamente efficace per “mettere in mostra” la chimica è quella di far leva sulla sua capacità di colorare le cose, trasformando superfici grigie come quelle della maggior parte dei metalli in sfavillanti oggetti che colpiscono il nostro sguardo in una varietà di gamme cromatiche. È la strada che hanno seguito i ricercatori dei Dipartimenti Chimici dell’Università degli Studi di Milano, curatori de La Chimica in Mostra – Mostra la Chimica, un’esposizione interattiva dedicata alle relazioni tra Chimica, Acqua, Ambiente ed Energia, sia nel quotidiano sia nelle applicazioni più innovative, con una vetrina appositamente allestita presso il foyer dello Spazio Oberdan e uno spazio per le scolaresche presso l’Acquario Civico.
Si tratta di uno degli appuntamenti di richiamo de L’avventura della scienza, organizzata della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali dell’Università degli Studi in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia e in pieno svolgimento a Milano in un susseguirsi di convegni, mostre, spettacoli, film e laboratori interattivi.
L’accostamento della chimica con le arti visive non è nuovo; ma per tanti secoli si è limitato a trattare la chimica (o i suoi analoghi prescientifici) in funzione di semplice fornitore dei materiali – i colori – sui quali poi si applicava la genialità dell’artista. In alcuni casi però il legame si è fatto più stretto e non solo strumentale: la chimica è entrata da protagonista fin dentro il processo stesso di realizzazione dell’opera d’arte. Come nel caso delle Titaniocromie di Pietro Pedeferri, già docente di elettrochimica al Politecnico milanese e scomparso pochi anni fa, del quale sono esposte alcune singolari opere scientifico-artistiche.
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Dare colore ai metalli non è facile. Non stiamo parlando delle semplice verniciatura ma del fatto che il metallo assuma una colorazione diversa da quella naturale. In natura solo due metalli sono di per sé colorati: l’oro e il rame; gli altri, una sessantina, si presentano con tonalità più o meno chiare ma tutte comprese tra il grigio e il bianco. Quando la loro superficie appare colorata ciò è dovuto alla presenza di strati sottili (film) trasparenti in grado di dar luogo al fenomeno dell’interferenza della luce che genera i diversi colori.
I film sottili si possono ottenere per deposizione da fase gassosa, per corrosione, per reazione con altri elementi, in particolare con lo zolfo e lo iodio e soprattutto per ossidazione ad alta temperatura. Qualunque sia la loro origine, questi colori sono altrettanto affascinanti di quelli dei fiori, dei cristalli, degli animali o degli spettacoli naturali come l’arcobaleno, le aurore e i tramonti. È proprio questo fascino che ha spinto Pedeferri fin dagli anni ‘70 a ricorrere al titanio, il metallo che è servito per andare sulla Luna, e alle tecniche elettrochimiche per sviluppare un’innovativa tecnologia di colorazione anodica che poi ha utilizzato col tocco e la pazienza dell’artista per delle produzioni a dir poco originali.
La superficie del titanio normalmente è ricoperta da un film protettivo di pochi nanometri (miliardesimi di metro) di spessore. Con le tecniche di anodizzazione è possibile far accrescere lo spessore del film fino a circa 2.000 nanometri, cioè due millesimi di millimetro. A questo punto entra in gioco l’interferenza che fa assumere al titanio colorazioni diverse che dipendono dallo spessore del film e non dalla natura dei suoi costituenti o dalla presenza di pigmenti. Lo spessore e, quindi, il colore dipendono dal potenziale applicato; passando da 0 a 140 volt lo spessore cresce e i colori cambiano nella sequenza: giallo, porpora, blu, azzurro, argento, giallo, rosa, violetto, cobalto, verde, verdegiallo, rosa, verde.
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Lo spessore e, quindi, il colore dipendono dal potenziale applicato; passando da 0 a 140 volt lo spessore cresce e i colori cambiano nella sequenza: giallo, porpora, blu, azzurro, argento, giallo, rosa, violetto, cobalto, verde, verdegiallo, rosa, verde.
C’è da aggiungere che le proprietà del titanio di resistenza alla corrosione, biocompatibilità e tossicità sono esaltate dalla presenza di un film di ossido, che è solo di spessore maggiore rispetto a quello che si forma spontaneamente all’aria.
Sarà difficile, per chi si accosterà anche solo brevemente a queste e alle altre opere esposte, resistere al fascino di colori, forme e movimenti che fanno dimenticare le complesse spiegazioni che le sottendono e la sofisticata strumentazione a volte necessaria per produrle. Un fascino che predispone ad accostarsi più volentieri al nuovo mondo delle nanotecnologie che con intuizione geniale e con genuina semplicità Pedeferri ha anticipato di qualche decennio.
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