Leggere l’ultimo lavoro di Giulio Sapelli (Un nuovo mondo. La rivoluzione di Trump e i suoi effetti globali, Guerini 2017) è esercizio delucidante per comprendere i ritmi velenosi della comunità internazionale. Sapelli riesce da sempre a intrecciare temi di storia economica a considerazioni di carattere diplomatico, oltre che di dottrina dello Stato e delle istituzioni politiche. Il punto di partenza dell’agile quanto profonda trattazione è costituito da un’analisi molto diretta e documentata degli scenari dischiusisi dopo la vittoria di Trump alle elezioni presidenziali statunitensi.
Il mondo dei media generalisti e talvolta quello delle grandi accademie internazionali hanno vissuto un fatto del genere o come il dramma portatore di sciagure e derive autoritarie, o alla stregua di un’improbabile liberazione dai gruppi familistici e dinastici della politica americana. Né l’uno né l’altra, nel paziente lavoro di Sapelli, quanto schietta assunzione di una possibilità in larga misura imprevista e, perciò, da dovere cogliere nel migliore dei modi.
Il lavoro in commento sembra partire, per altro verso, da tre tesi che paiono esse stesse “in progress” e il cui andamento andrà con la medesima prudenza vigilato nei prossimi mesi. In primo luogo, la vittoria di Trump concorre a ridisegnare i rapporti tra gli Stati Uniti e la Russia, abbandonando, se possibile, la deriva da guerra fredda avvertitasi nella seconda presidenza Obama, e cercando di riscoprire intendimenti comuni, per quanto — ben chiarisce l’Autore — a “geometria variabile”.
In secondo luogo, si nota nel volume quanto sia ancora difficilmente prevedibile l’andamento delle relazioni con la Cina: il gigante asiatico detta le regole della sua partecipazione nell’agone globale grazie alla forza propulsiva in campo economico, all’essere divenuto finalmente anche mercato di esportazione, oltre che per merito dell’altrui debito pubblico. Questa egemonia non è, però, ancora impressa nelle relazioni internazionali e probabilmente Pechino non è pronta a dettare la linea in questo senso.
La terza direttrice, nell’analisi di Sapelli, è rappresentata dalla declaratoria di fallimento di un’integrazione europea vissuta a trazione germanica. Soprattutto nell’ultima parte del volume, l’Autore torna con incisività su un cronico problema dell’Unione Europea: il mancato coinvolgimento dell’elemento “demos”, la natura clanica e verticistica degli apparati burocratici, due morbi radicalmente incompatibili (ché diversamente non potrebbe essere) con ogni svolta federalista, da tempo promessa e giammai attuata.
Il quadro tratteggiato da Sapelli addita impietosamente le colpe tedesche, ma anche il complessivo decadimento del progetto unitario: nato come istanza di pacificazione, in particolar modo nei rapporti franco-tedeschi, esso è degradato a proscenio della Germania con la discontinua subalternità degli altri partner. La Brexit, unita alle relazioni diplomatiche che Trump e la May rivendicano di avere iniziato, certo abbatte molto velleitarismo teutonico e necessariamente induce a riflettere su una creatura istituzionale artificiosa e instabile.
Come giustamente osserva l’Autore, anche il rinnovato protagonismo del governo russo rischia di aggravare le faglie già presenti nella governance tedesca. Lungi dall’obliterare a senso unico la strategia di Putin, il volume è opportunamente non generoso sui tanti dossier di politica interna che gravano sulla Russia (Ucraina, Cecenia, Bielorussia), ma non nasconde quanto tali problematiche abbiano ancora limitato impatto sul rinvigorito profilo istituzionale moscovita.
Le notizie che giungono dalle agenzie mettono il quadro sapientemente delineato da Sapelli sotto stress. A Stoccolma è avvenuto un attentato. C’è ora la possibilità che la gaffe di Trump di poche settimane addietro, quando il presidente americano parlò di un allora inesistente attacco accaduto in Svezia, corrispondesse a una voce plausibile sulla vulnerabilità del sistema svedese (come negli anni fu per quello belga e per quello francese). La Svezia ha giustificato la reintroduzione del servizio militare proprio a causa delle intemperanze della vicina Russia. L’amministrazione Trump ha nel frattempo dato via libera a un attacco contro il regime di Assad, dopo un utilizzo di armi chimiche (ad opera di chi però non è stato accertato) che ha causato decine di morti al villaggio di Khan Shaykhun.
Anche per capire questi rapidi rivolgimenti, leggere il volume di Sapelli consente di vagliare criticamente i presupposti della fase attuale e spinge a sperare che i due grandi competitori, quello statunitense e quello russo, non facciano carta straccia dei faticosi riavvicinamenti che davvero avrebbero potuto pacificare un ordine globale mai così frammentario.