Mons. Luigi Negri ha vinto il Premio internazionale medaglia d’oro al merito della cultura cattolica. (promosso dalla Scuola di cultura cattolica di Bassano del Grappa). Un meritato riconoscimento.
Il pastore della diocesi di Ferrara-Comacchio è noto; da parte mia, vorrei sottolineare alcuni aspetti dell’opera e del temperamento squisitamente cattolico di quest’uomo, cresciuto gomito a gomito con don Luigi Giussani. Il che non è proprio uguale a zero.
Se è vero – com’è vero – che “dal temperamento nasce un metodo”, ecco Negri certamente rende vivivamente e plasticamente ragione di questo criterio, essendo dotato, come pochi, di un temperamento tanto combattivo quanto riflessivo. Un significativo et-et, tutto cattolico, destinato a ridurre la portata, di contro interamente dialettica, del metodo coltivato nel mondo protestante, quello dell’aut-aut. Non a caso, Negri ha scritto pagine apologetiche di rara efficacia e chiarezza sui contorni del cattolicesimo come cultura e missione (in quanto cultura), e ciò proprio scardinando le casematte intellettuali e ideologiche del protestantesimo luterano. Negri individua, ad esempio, in Lutero un alfiere del politicamente corretto a vantaggio dello Stato, già idolo del Moderno, e a detrimento del popolo, di quei contadini cattolici tedeschi, ad esempio, rei di aderire fedelmente alla fede e al magistero del papa. Da questo mix fuoriesce la miscela esplosiva delle ideologie novecentesche, intrise di odio nei confronti del cattolicesimo e interamente al servizio del Moloch-Leviatano: una nuova “religione mondana” totalizzante e totalitaria, dalle viscere del luteranesimo, nel cuore della ricca, colta e sprezzante Europa delle corti e dei nuovi regnanti in cerca di fondamenta ideologiche e religiose.
Negri scava in questo magma storico e, seguendo la strada di autori come Besançon e Del Noce, riesce a raddrizzare la via della ricerca dei fondamenti religiosi e culturali della nostra civiltà. Ecco, con questo dinamismo inscritto nella tensione della fede vissuta come appartenenza a Cristo e alla Chiesa, abbiamo, di fatto, un metodo di lettura che andrebbe ripreso e alimentato, soprattutto nella temperie odierna di nuovi “meticciati” e, insieme ad essi, nuove contraddizioni.
Quando da un autore si riesce a cavar fuori strumenti analitici per orientarsi nel mondo, si può star certi di trovarsi di fronte ad un uomo che pensa come i classici, ossia non va alla ricerca dell’elemento originale, nel senso di una spesso equivoca “novità” culturale, ma di quell’elemento originario in grado di rideclinare, nel presente, la Tradizione come assetto ontologico della vita. Vale a dire: come fondamento del mio essere, vivere e creare, in quanto uomo di fede fra altri uomini alla ricerca di senso stabile e certo del vivere, nell’oggi, nel qui e ora.
Di qui una serie di riflessioni tutt’altro che scontate sul nesso tra la religione e il cristianesimo, nella selva delle relazioni e delle dissomiglianze tra i due continenti di senso e domande ultime e penultime. Perché la cultura o è un avvenimento che corrisponde alle domande degli uomini vivi – che si incontrano sempre, prima o poi – o è quel che a Roma definiscono efficamente “fuffa”, cioè il niente condito con pezzi di ideologie e affastellati sul terreno degli interessi di questo o quel ceto dirigente di quest’Italia intrisa fino al midollo di nichilismo non più neanche gaio.
Ecco allora che anche l’altro punto sorgivo della riflessione del vescovo di Ferrara, dedicato alla dottrina sociale della Chiesa, risulta utile al dibattito politico di oggi, soprattutto per il suo elemento di inattualità: il porsi della dottrina sociale come esito della Traditio, della teologia prodotta in questo alveo e del Magistero. Senza fondamenti, il problema del/nel presente è semplicemente la proiezione o di un mio tarlo mentale o di un mio, pur legittimo, tornaconto. Troppo poco in entrambi i casi. Oppure troppo, nella concezione di qualche altra “cattedra di pensiero”, ma non si afferra la cifra della questione, anche in questo caso.
Negri non parla per perifrasi o ammiccamenti ed è dunque un uomo prima ancora di essere un pezzo della struttura ecclesiastica, non iscritto al “partito clericale” (Péguy) e, dunque, non clericale. Un vescovo non clericale che vince il premio della cultura cattolica è una profezia per i nuovi giorni?