L’esame di Stato si avvicina, e non è sempre vero che è la terza prova a togliere il sonno ai maturandi: giovedì 22 gli studenti del liceo classico si cimenteranno con uno degli esercizi più temuti in tutto l’orbe terracqueo, ovvero con la versione, quest’anno di latino.
Che la versione di latino sia esercizio utilissimo, forse il più utile per sviluppare le abilità di problem solving, oltre che le competenze linguistiche, espressive, lessicali, è un dato riconosciuto da molti. Ma è anche l’esercizio più difficile, per tanti motivi, tra i quali non possiamo non citare la percentuale di alea connessa con l’imprevedibilità del testo che verrà sottoposto agli esaminandi: si tratterà di un brano di Cicerone, di Seneca, di Quintiliano, di Tacito o di Apuleio? Di un brano filosofico, o di un passo estrapolato da un’opera storica? Il latino del I sec. a.C. non è quello del II secolo d.C. Il latino non è un monolite: ci sono tanti latini, diversissimi fra loro, ed è comprensibile che non sapere nulla dell’autore e dell’argomento della versione prescelta generi una certa ansia.
Sopravvivere alla versione però si può e si deve. Naturalmente, non nascondiamoci dietro un dito: tradurre è difficile, e non si impara certo in un giorno, dopo anni di declinazioni memorizzate più o meno alla carlona, compiti copiati — o realizzati in quello che adesso si chiama cooperative learning —, traduzioni inviate via whatsapp, ripetizioni svogliatamente seguite e anni di debiti formativi che, benché “parzialmente colmati” a fine agosto, non hanno impedito di arrivare in quinta.
Si possono tuttavia, in vista di questa prova così impegnativa, suggerire alcune buone pratiche che aiutino a gestire le ore della mattinata del 22, interminabili sulla carta, ma che, quando ci si trova di fronte a un messaggio che ci sembra crittografato, scorrono via velocissime.
Per prima cosa: no alla veglia notturna protratta. Inutile perdere il sonno, e la reattività il giorno dopo, cercando di memorizzare quante più nozioni di grammatica, tutte regolarmente trascurate nel corso del biennio, o scervellarsi sul web per cercare di scoprire, dall’analisi statistica ponderata delle versioni degli scorsi anni, quale potrebbe essere l’autore prescelto per il 22 dal ministero. Piuttosto, si può fare un ripasso selettivo e intelligente di quelli che sono i nodi su cui spesso cadono gli studenti “d’ogni forma e d’ogni età”, come direbbe il personaggio di Mozart, senza però sfinirsi.
Suggerirei allora di dare una rilettura attenta alla formazione dei tempi verbali (soprattutto indicativo futuro e congiuntivo presente, che vengono regolarmente confusi) e ai congiuntivi indipendenti, che sono spesso trattati velocemente nel biennio, e invece sono un incontro frequente nei brani letterari. Lo stesso dicasi per gli indefiniti e i relativi indefiniti: argomento che, spesso molto dopo il pronome relativo, solitamente viene trattato un po’ cursoriamente nel mese di maggio del secondo anno, o all’inizio del terzo, quando si ha fretta di iniziare lo studio della letteratura e che, poi, nella prassi traduttiva, dà sempre discrete difficoltà agli studenti. Non per urtare la sensibilità e l’orgoglio dei liceali arrivati al prestigioso scoglio del quinto anno, ma, forte di quanto ho visto nella mia esperienza all’università in lunghe sessioni d’esame, consiglierei un ripasso anche degli aggettivi del II gruppo, che pongono spesso problemi di concordanza, specialmente con i sostantivi neutri. Menzione speciale anche per i participi: riguardate bene le loro caratteristiche, soprattutto quelle del participio perfetto, in special modo nell’ablativo assoluto, ma anche congiunto, a seconda che si tratti di verbi deponenti o transitivi attivi. E, già che ci siete, date un’occhiatina ai costrutti particolari che avete sicuramente imparato (e ahimè, qualche volta, dimenticato) nella sintassi dei casi: il costrutto di videor (quando significa “sembrare” e quando “sembrare bene”? Come si traduce quando il soggetto è un verbo?); il costrutto dei cosiddetti “verbi assolutamente impersonali” (piget, pudet, paenitet, taedet, miseret) e la costruzione di interest/refert e opus est. Sembrano troppe nozioni? Ma no: si tratta giusto di parte di un pomeriggio e della serata prima della versione (attenzione: ho detto “della serata”, non “della nottata”: vedi sopra).
Ed eccoci arrivati alla mattina della seconda prova: calma e sangue freddo, e, soprattutto, ricordate che il foglio con la versione non è una santa reliquia, e quindi non solo potete, ma dovete lavorarci su. Pertanto, mettete mano a matite colorate, evidenziatori, penne di vari colori per sottolineare i verbi, i nessi coordinanti e subordinanti, i relativi e i relativi indefiniti. Anche se vi sembra (appunto, “sembra”) di capire al volo il testo, non cadete in tentazione e fate la costruzione, sempre, per tutti i periodi, anche per quelli che vi sembrano facili, tanto facili da indurvi a pensare di non perderci troppo tempo.
E ricordatevi di non buttarvi a corpo morto sul dizionario: il vocabolario va usato con criterio e intelligenza, ma solo dopo avere individuato la struttura portante del periodo, ovvero quale sia la principale, quale la coordinata e quali le subordinate e quale la loro gerarchia. La raccomandazione sembra pedestre, ma vi assicuro che nessuno, nessuno, ripeto nessuno mai è riuscito a tradurre una versione, breve o lunga che fosse, semplice o complessa cercando parola per parola sul dizionario i vari significati che può assumere un certo elemento lessicale, annotandoli sopra o a fianco della parola incriminata, e poi cercando, con logica (si fa per dire) combinatoria di far quadrare un significato con l’altro, magari orientandosi su accezioni rare, tarde, poco attestate di un certo verbo o di un certo sostantivo. Il meccanismo, che ahimè molti studenti ancora all’università usano imperterriti, equivale a pretendere, quando si risolve un puzzle, che due tessere prese a caso possano incastrarsi l’una nell’altra: e se poi le due forme non sono compatibili, si fa un po’ forza, tentando di smussare i poco collaborativi spigoli.
Mai inoltre cercare di forzare la struttura del testo: se vi sembra proprio che il testo acquisirebbe il senso perfetto che avete inteso modificando la punteggiatura, inserendo una virgola, o un punto e virgola o altro segno di interpunzione, attenzione: nove volte su dieci, avete sbagliato qualcosa; meglio ricominciare da capo, nello smontare e rimontare il periodo. Non affezionatevi troppo alla vostra prima idea, e non incaponitevi su di essa se vi sembra che una parte del vostro cervello possa levare delle sensate obiezioni.
Attenzione poi agli errori di morfosintassi italiana: apostrofi, doppie zeta, accenti, e via dicendo; ricordate che state pur sempre scrivendo un testo, che vi presenterà alla commissione, insieme allo scritto di italiano e alla terza prova; siete liceali, e liceali del liceo classico! Non mettetevi nella condizione di dire, di fronte alla sottolineatura di qualche mostruosità (aquila col CQ, o conoscenza scritto con la I!…capita anche questo), con tutto il candore del mondo: “Non ci ho pensato! Non ho proprio riletto! Ero distratto”, e simili scuse risibili: ricordate che l’ortografia deve essere un’acquisizione tanto solida da essere automatica, dopo la scuola primaria.
Infine, ma in verità questo dovrebbe essere il primo vostro scrupolo: ogni versione ha un titolo e, magari, anche un breve sommario, un riassunto sinteticissimo, un abstract, come diremmo oggi, premesso al testo latino. Ebbene, fatene tesoro, perché, solitamente, in queste poche, stringate righe sono enucleati gli avvenimenti salienti della versione, le parole-chiave, le caratteristiche dei protagonisti del testo che dovrete tradurre. Si tratta di un aiuto prezioso, da non trascurare.
Come vedrete, tutti questi consigli sono, né più né meno, quelli che vi ha dato di sicuro il vostro professore, il vostro fratello maggiore, la vostra mamma: perché non ci sono formule magiche per fare una buona versione; servono solo logica, metodo, rigore… e, non lo nascondo, anche un pizzico di fortuna.
Buon esame di Stato a tutti!