Il web è ricco di sorprese, soprattutto per noi poveri digital immigrants, che navigando alla ventura ci imbattiamo talvolta in interessanti scoperte. Ad esempio, esiste un sito (www.buonipropositi.com) che suggerisce di inviare i buoni propositi per il nuovo anno, impegnandosi a ricordarli a chi fa poi finta di niente. Non so se il ministro Gelmini abbia fatto dei buoni propositi per il 2010, oltre a quelli lodevoli ma personali di sposarsi, diventare mamma e non perdere un sol giorno di lavoro, tutte intenzioni per cui le facciamo i migliori auguri. Proverò allora io a riguardare alcuni buoni propositi che avevo formulato lo scorso anno su queste pagine, invitando il ministro a concentrarsi su alcune cose importanti e a fissare dei traguardi precisi, piuttosto che su di un palingenetico rinnovamento dell’intero sistema (ebbene sì, ho fatto il classico nel Pleistocene e uso senza arrossire la parola “palingenetico”): invito che mi pare sia stato disatteso, in quanto il quadro complessivo si è confermato, ma gli aspetti operativi sono rimasti sottovalutati.
Al primo punto era, e resta, il tema dei docenti: si sono fatti alcuni passi avanti con la normativa, ma continua a mancare una chiara definizione del processo che introdurrà procedure adeguate di formazione, di selezione, di reclutamento, di formazione in servizio, di valutazione e di carriera. I tentativi di dare maggior spazio alle scuole autonome, o alle reti di scuole, mi sembrano andati a vuoto, e le rappresentanze sindacali si sono concentrate sui posti di lavoro e non sembrano disposte a collaborare con il Ministero o con le Regioni per costruire un rinnovamento reale. In più, sono comparsi nuovi elementi di disagio: gli insegnanti, anche i più impegnati e capaci, chiedono maggiore chiarezza sui compiti che sono loro attribuiti nella nuova struttura dei cicli, e vorrebbero capire su quali risorse possono contare: ho la sensazione che si stiano diffondendo forme subdole di burn out, di scoraggiamento e disinteresse. Non mi preoccuperei tanto dei pochi che gridano e rivendicano, quanto dei molti che lavorano in un silenzio sempre più sfiduciato. Le università, per parte loro, alle prese con i molti problemi della loro riforma, sembrano poco interessate a definire le modalità di formazione dei nuovi docenti, e questo, unito alle perplessità sui compiti, alle incertezze di una carriera che resta un pio desiderio e alla remunerazione che resta ancorata a livelli modesti e poco collegata al merito, rendono ben difficile il reclutamento di insegnanti di valore.
Al secondo posto, era e resta la riforma della secondaria superiore, che nel 2009 ha visto l’approvazione dei regolamenti, ma manca di procedure applicative sistematiche (un piano rigoroso e capillare di formazione dei docenti, una valutazione sistematica degli esiti, un collegamento con la scuola di base e con la formazione di terzo livello, oltre che con il mercato del lavoro, e infine procedure di valorizzazione dell’autonomia delle scuole). Tra i punti positivi, vedo il tentativo di un maggiore collegamento dell’istruzione tecnica e professionale con il mercato del lavoro, uno sviluppo dei licei più coerente con le loro finalità, una – limitata – valorizzazione dell’autonomia delle scuole, che potrebbe essere accresciuta riducendo la frammentarietà e assegnando alle scuole che operano in reti maggiori spazi decisionali e finanziamenti aggiuntivi.
Al terzo posto, dal momento che l’urgenza è cresciuta in modo inversamente proporzionale alla capacità decisionale, metterei la necessità che le regioni (anche se non tutte insieme o con la stessa velocità) definissero in che modo intendono sviluppare una politica formativa che sia al tempo stesso autonoma e coordinata, differenziata e collegata a un sistema comune di finalità, tenute sotto controllo da un serio sistema di valutazione. Il decollo di un sistema di valutazione, peraltro, è in grave ritardo, anche se Invalsi sta facendo del suo meglio per agire in modo sistematico nelle non molte incombenze che gli ha lasciato la direttiva dello scorso agosto, che sorvola sulla valutazione del sistema, e si limita agli apprendimenti e poco più.
Il tema del rapporto fra scuola statale e scuola non statale è rimasto irrisolto e ignorato, se si eccettua un deplorevole dossier di Legambiente Scuola e formazione comparso nel novembre, e per lo più passato sotto silenzio, che ripete in modo acritico osservazioni banali e non documentate su di una presunta liquidazione della scuola pubblica (ignorando, tra l’altro, che il sistema scolastico nazionale è formato dalle scuole autonome statali e dalle scuole paritarie, entrambe pubbliche, dettaglio sfuggito ai solerti estensori) e una altrettanto presunta crescita nei finanziamenti alle scuole paritarie, che non solo non c’è stata, ma è di segno negativo. Mi è sfuggita, se c’è stata, una precisazione da parte di qualcuno degli interlocutori, statali o paritari, ma in un contesto in cui una maggiore presenza del mercato «è da considerare come una modalità sempre più diffusa per far fronte alla crescente complessità dei sistemi educativi» (OCSE, Educational markets in education, novembre 2009), l’Italia continua a giocare alle guerre di religione.
Se il quadro della scuola resta abbastanza sconsolante, la riforma dell’università di cui il Sussidiario si è più volte occupato, presenta aspetti più positivi, e ci allinea in modo più deciso agli altri paesi europei (anche se forse più nelle parole che nei fatti), il che fa pessimisticamente temere che nell’ancora lungo iter verso il varo definitivo qualcuno riesca a bloccarla. Mi sembra, infine, di cogliere una maggiore motivazione alla collaborazione, non tanto forse fra i politici quanto fra gli addetti ai lavori, da cui mi giungono richieste non isolate di partecipare ad iniziative che vedono insieme persone di diverso orientamento. E allora limitiamo gli auguri ad uno solo: che tutte le persone di buona volontà si attivino per collaborare, con la ricerca o con la decisionalità politica, con la sperimentazione o con l’oscuro, ma prezioso e insostituibile lavoro in classe, per dare ai nostri ragazzi la scuola di cui hanno bisogno.