Caro direttore,
i presidi. Dire che sia questo il punto dirompente, oltre alla sanatoria in massa dei precari, è poca cosa. Viste le tante prese di posizione, da Cammilleri in avanti, di personaggi famosi che, è giusto che venga detto, di scuola ne sanno pochino. Al massimo per sentito dire. Il fatto è che la scuola, nella sua complessità, è poco conosciuta anche da molti che si lavorano dentro. Solo chi fa esperienza “sistemica” può farsene un’idea. Per tutti gli altri, al massimo la percezione dei vari frammenti, ma non l’insieme. Perché, è cosa nota, il tutto non è la semplice somma delle parti.
Cogliere il tutto sistemico, quindi. Ecco il nuovo sentiero di responsabilità che deve essere riconosciuto, anzitutto, ma non solo, ai presidi. Come coordinatori educativi, didattici, organizzativi, gestionali. In funzione di quell’autonomia che è la sola risposta che può accompagnare la nuova domanda formativa dei nostri giovani e del nostro tessuto sociale. Coordinatori, non “sceriffi”.
Il filo conduttore della riforma di Renzi è, dunque, a parte la sanatoria dei precari, un punto che è centrale per comprendere la qualità della scuola: l’autonomia come strumento del merito, e chiave per aprire la scuola alle esigenze del territorio e alle nuove domande formative dei nostri giovani.
Per rafforzare quest’autonomia e renderla davvero funzionale alla domanda di futuro dei nostri ragazzi, manca però in questa riforma un tassello chiave: la valutazione, secondo merito, dei presidi.
Renzi ha parlato di “presidi sindaci”, ma, è giusto che non ci nascondiamo dietro a un dito, ci sono presidi e presidi, come ci sono docenti e docenti. Per la gran parte, come sappiamo, davvero in gamba.
E’ giusto, quindi, che si parli di valutazione dei docenti. In realtà, prima dei docenti e di tutto il personale, la valutazione deve/dovrebbe essere dei presidi, dal 2001 dirigenti scolastici.
Come una buona vita di classe si vede dal lavoro del buon docente, lo stesso si può dire della vita delle scuole. La cui vitalità, la capacità cioè di essere al passo con le nuove domande formative e organizzative, dipende dalla presenza o meno di un preside in gamba, che ci mette cuore e passione, che mette sempre in primo piano il valore formativo dei propri studenti e la valorizzazione dei propri docenti.
Senza protagonismi e senza atteggiamenti autoritari. Un preside è un suscitatore di coscienza, prima che manager.
Quanti presidi passati, in maggioranza, senza concorsi ordinari, ma con sanatorie o con concorsi riservati, oggi potrebbero sostenere il peso di una valutazione esterna? O presidi che si ritrovano alle superiori dopo una carriera tutta alle elementari?
Il fatto, ad esempio, che poche scuole si siano dichiarate disponibili a sperimentare il Vales, cioè il primo percorso di valutazione che prevede anche la valutazione del preside, la dice lunga su una situazione che, in qualche caso, non è tutta rosa e fiori.
Basterebbe introdurre una semplice norma: alla fine dei contratti triennali il collegio dei docenti prima, con un parere obbligatorio, e poi il consiglio di istituto dovrebbero validare, con un voto, la conferma o meno di un preside.
Altro modo per dire che il suo ruolo è centrale nella vita delle scuole. E che l’autorevolezza vale ben più di ogni autoritarismo. Prima dunque dei docenti, credo sia giusto che siano i presidi ad essere valutati. Un primo passo verso quell’etica della responsabilità che è la stella polare della domanda di qualità di ogni “servizio pubblico”.