Cosa accomuna i moderni mezzi di informazione, quelli di trasporto, la maggior parte degli utensili domestici e quelli del mondo del lavoro, gli strumenti dello studio e della ricerca scientifica, della medicina e della produzione artistica, le armi stesse? La risposta è semplice: la tecnologia. La tecnologia è dappertutto, è l’ambiente nel quale viviamo.
La tecnologia appare come la dimensione a cui tutti oggi concediamo la nostra maggiore attenzione e affidiamo in maniera esplicita o latente le nostre speranze. Essa, infatti, in virtù della sua efficacia e del suo rendimento, realizza i sogni e i desideri dell’uomo di andare oltre ai propri limiti naturali, ai limiti dello spazio e del tempo. Essa rende più efficaci gli strumenti con cui l’uomo sperimenta sempre nuove possibilità d’azione ed attua il suo potere di abitare e modificare il mondo.
Come ha affermato nel 1930 Ernst Cassirer, “se si desume il criterio per stabilire il significato dei singoli ambiti parziali della cultura umana anzitutto dalla loro efficacia reale, se si determina il valore di questi ambiti secondo l’entità del loro rendimento immediato, non si può dubitare che la tecnica, misurata con questo criterio, occupi un posto di prim’ordine nell’impianto della nostra cultura attuale. Sia che si biasimi o si lodi, che si celebri o si condanni questo «primato della tecnica», la sua semplice realtà sembra incontestabile“.
Anche le stesse parole innovazione e progresso oggi sono usate e immediatamente tradotte nel senso innovazione tecnologica, ed è normale che sia così.
Ma che cos’è la tecnologia? Che rilevanza ha assunto nei nostri modi di vivere e di pensarci? Che rapporto ha con la natura e la vita degli esseri viventi? Che rapporto si stabilisce tra sapere e saper fare, tra cultura e tecnica?
Non c’è argomento più sfidante oggi per la filosofia — e per chi si occupa di formazione ed educazione — della tecnologia. Perciò la tecnologia, per essere compresa, pensata e interrogata, sarà al centro della prossima edizione del Concorso nazionale di filosofia per le superiori Romanae Disputationes 2016/17 sul tema: “Logos e techne. Tecnologia e filosofia”.
Sappiamo tutti che tecnica e tecnologia non sono sinonimi. Tecnica, dal greco téchne, è intesa come l’insieme delle conoscenze e degli strumenti, come esercizio di attività manuali o intellettuali, cioè un saper fare. Tecnologia è l’applicazione tecnica delle scienze e indica il rapporto di reciprocità che si instaura tra scienza e tecnica.
La capacità tecnica, che per gli antichi aveva lo scopo di aiutare la natura a svilupparsi al meglio (ad esempio nella medicina e nell’agricoltura), nell’età moderna, almeno da Francis Bacon in avanti, si è posta come conoscenza in vista della plasmazione e della trasformazione della natura a vantaggio dell’uomo: “La scienza e la potenza umana coincidono poiché l’ignoranza della causa impedisce la produzione dell’effetto. La natura infatti, non si vince se non obbedendole; e ciò che nella teoria ha valore di causa, nell’operare ha valore di regola“.
E pure, il saper fare della tecnica, fin da Platone, si è scontrato con la questione della conoscenza della vera essenza delle cose e il loro possibile utilizzo, consapevole o meno, da parte dell’uomo.
L’uomo infatti a differenza degli altri viventi non solo fa, per istinto cieco, ma sa cosa fa e si chiede il fine del proprio fare.
In particolare, nell’ultimo secolo di storia, gli sviluppi sbalorditivi e pervasivi della tecnologia hanno imposto un ritorno ad una riflessione filosofica, tanto più che l’utensile, lo strumento creato con la tecnica, si è rivelato capace non solo di trasformare il mondo, ma anche, in una certa misura, di trasformare l’uomo stesso.
Non dobbiamo pensare che la tecnica operi solo verso l’esterno ma, operando verso l’esterno, in qualche modo, restituisce o modifica l’immagine che l’uomo moderno ha di sé. Lo stesso Heidegger riconosceva che la tecnologia svolge un ruolo nel plasmare lo stare nel mondo dell’uomo e incide così sull’immagine che l’uomo ha di se stesso.
Negli ultimi decenni, inoltre, è stato scoperto un nuovo metodo che si chiama Genome Editing, un metodo estremamente potente per modificare il nostro genoma.
Come ha recentemente scritto Carlo Soave, di fronte a questa possibilità non possiamo non interrogarci rispetto alle conseguenze etiche, economiche e sociali di una tecnica del genere. Se usato su delle cellule embrionali o su cellule germinali, la modifica del genoma infatti non si manifesta solo in un individuo ma viene trasmessa alle generazioni successive incidendo sulle sorti dell’umanità stessa.
A partire da queste considerazioni si comprende meglio la nota riflessione filosofica di Martin Heidegger sulla tecnica. Egli non condanna le capacità produttive dell’uomo moderno in vista di un utopico ritorno ad una società rurale e pre-scientifica, bensì critica la moderna metafisica della soggettività, che, puntando tutto sul soggetto e sulle sue facoltà creative, dimentica il primato dell’essere e del mistero da cui tutto proviene. Il pensiero occidentale, secondo Heidegger, avrebbe da sempre dimenticato l’essere, riducendolo così — nelle diverse stagioni della metafisica — di volta in volta a “Idea”, “Sostanza”, “Attualità”, “Cogito”, “Spirito”, “Pensiero”. La nostra epoca sarebbe quella in cui l’essere si rivela come tecnica e in cui la natura viene concepita come un accumulo di energie da sfruttare e trasformare nel sistema produttivo industriale, come un mero oggetto in balia della volontà di potenza del soggetto.
Avendo scisso e contrapposto la volontà del soggetto dall’oggetto come risorsa da esaurire e parlando di tecnica come un mero “saper fare”, si rischia di assegnare una certa neutralità agli strumenti tecnici, contrapponendola all’intenzionalità — e quindi alla responsabilità — dei fini per i quali si usano.
Gli studi di Marshall McLuhan, invece, mostrano che la tecnica-tecnologia influisce direttamente sullo scopo e sul messaggio che vogliamo realizzare. Lo strumento che usiamo modifica e trasforma il messaggio che intendiamo lanciare. Gli strumenti con i quali viviamo modificano il tempo e lo spazio nei quali il nostro corpo e il nostro agire si dà. La tecnica, gli strumenti, dunque non sono mai neutrali.
L’uso degli strumenti non è mai neutrale rispetto al senso e all’immagine che l’uomo ha di sé, come provenienza e come destino.
La presenza invasiva e massiccia delle tecnologie nella società industriale e consumistica attuale ci mette con le spalle al muro: lasciarci ridurre noi stessi a “cosa” (“una mera scienza di fatti produce meri uomini di fatto“, E. Husserl, Crisi delle scienze europee), inconsapevoli e immersi nel flusso dell’informazione, della produzione e del commercio; o tornare consapevolmente a noi stessi, recuperando la domanda sul mistero del nostro essere nel mondo, della nostra provenienza e della nostra destinazione, dal di dentro della attuale società tecnologica.
Interrogare più a fondo la tecnica ci permette infatti di giungere a riconoscere la nostra strutturale finitezza — per contrasto con l’illusione della tecnica di allungare la vita o renderla avulsa da ogni forma di limite — e recuperare così il senso delle relazioni umane come ciò che renda dignitosa la vita.
A riguardo è interessante rileggere un celebre passo di Martin Heidegger: “Non è la bomba atomica di cui tanto si parla a costituire, in quanto ordigno di morte, il mortifero. Ciò che da tempo minaccia l’uomo di morte — e di una morte che concerne la sua stessa essenza — è l’incondizionatezza del puro volere, nel senso dell’autoimposizione deliberata e globale. Ciò che minaccia l’uomo nella sua essenza è l’ingannevole convinzione che, attraverso la produzione, la trasformazione, l’accumulazione e il governo delle energie naturali, l’uomo possa rendere agevole a tutti e in genere felice la situazione umana. Ciò che minaccia l’uomo nella sua essenza è la convinzione che la produzione tecnica metterà in ordine il mondo; mentre, al contrario, questo genere di ordine livella ogni ordo, cioè ogni rango, nella uniformità della produzione, dissolvendo così, fin dall’inizio, la possibile provenienza di ogni rango e di ogni riconoscimento dal fondamento dell’essere” (M. Heidegger, Perché i poeti).
Ma là dove ha luogo il pericolo, là sorge anche il salvatore, come diceva Holderlin.
Tutti, infatti, siamo ingaggiati dalla sfida che la tecnica e le tecnologie pongono di per se stesse allo sguardo interrogante del filosofo, per riscoprire il proprium del vivente umano, della sua essenza relazionale e delle sue possibilità di autodeterminazione, della sua provenienza e della sua destinazione. Domandare circa l’essenza della tecnologia significa fare il primo passo per tornare a guardare il mistero da cui provengono le cose che abbiamo intorno.