Il regolamento sulla valutazione che potrebbe entrare in vigore il prossimo autunno è una delle riforme più interessanti per la scuola italiana. La legge che istituirà il sistema nazionale di valutazione prevede per le istituzioni scolastiche diverse procedure sia di autovalutazione (sulla base dei dati del Ministero e delle rilevazioni sugli apprendimenti, oltre che sul “valore aggiunto” individuato dall’Invalsi) che di valutazione esterna (sulla base di indicatori definiti dall’Invalsi per facilitare eventuali piani di miglioramento). Non è difficile prevedere che le polemiche non mancheranno ma, intanto, si procede nella giusta direzione, con uno sforzo che apporterà indiscutibilmente una migliore qualità degli apprendimenti.
A onor del vero, però, bisogna anche ammettere che questo processo sia stato promosso all’inizio dell’attuale Legislatura, con orientamenti già presenti nel precedente Governo. E non poteva essere diversamente, dal momento che, da qualsiasi parte si torni ad affrontare il problema del miglioramento della nostra scuola, la soluzione passa per la costruzione di un efficiente sistema valutativo. Occorreva acquisirne consapevolezza e iniziare in qualche modo. Cosa che è stata fatta, e non da oggi.
Al contrario, non sono mancate dichiarazioni di commentatori che hanno oscurato quanto fatto in precedenza. Una damnatio memorie che mette ancora in evidenza la difficoltà della nostra attuale cultura di concentrare gli sforzi sulla lunga strada da percorrere invece che sul bersaglio dei presunti avversari. Si è giunti persino ad esaltare i contenuti già sperimentati del regolamento sulla valutazione, presentandoli come evidente prova di discontinuità.
In realtà, il regolamento del Ministro Profumo mette a regime i risultati delle sperimentazioni estendendole a tutte le scuole, quando la costruzione di un sistema nazionale di valutazione era considerata da tempo un punto irrinunciabile delle politiche scolastiche. Esse dovevano favorire la nascita di una scuola più legata al merito, capace di rendicontare i propri risultati e di rendere pubblica la loro misurazione. Ciò, anche per consentire alle famiglie una scelta più accorta dell’istituto scolastico dove mandare i figli.
Per questo, il Ministro Gelmini agì lungo due direttrici: da una parte, valorizzando ed estendendo in via sperimentale le osteggiate prove Invalsi alle scuole secondarie di secondo grado; dall’altra, disegnando un sistema nazionale di valutazione sulle ormai famose tre gambe: dell’Invalsi, dell’Indire e del Corpo degli Ispettori. Relativamente ai primi due, si arrivò ad approvare un piano straordinario di reclutamento per affrontare i compiti impegnativi di un sistema nazionale di valutazione, ciò che proprio oggi rischia di essere bloccato dal provvedimento sulla spending review.
La scelta delle sperimentazioni per costruire l’oggetto delle valutazioni era obbligata per superare la diffidenza latente tra i docenti. Per questo si ritenne che le scuole, su base volontaria, andassero valutate con criteri preventivamente condivisi, anche tenendo conto dei risultati ottenuti dagli stessi alunni nel precedente test Invalsi della quinta primaria.
Se il nuovo regolamento contiene importanti elementi ormai acquisiti, è assente, invece, la valutazione degli insegnanti su cui Gelmini aveva lanciato una specifica sperimentazione sull’autovalutazione professionale, l’apprezzamento di ciascun insegnante comprovato e condiviso all’interno di ciascuna scuola e l’apprezzamento degli stessi insegnanti da parte dei genitori e degli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di II grado.
Forse è mancato il coraggio di superare il blocco di conservatorismo che ancora vincola l’affermazione di una scuola più legata al merito. Ma ancora è presto per giudicare.