Nel 2010 il governo della Finlandia ha varato il programma nazionale Taiku “Arte e cultura per la salute e il benessere della popolazione”: da allora, negli ospedali e negli ambulatori finlandesi la cartella clinica di ogni paziente deve contenere un progetto culturale ideato e concordato sulla base degli specifici bisogni della persona; e all’università di Turku è istituita una cattedra di Cultura, Salute e benessere per studiare gli effetti del Taiku a medio e lungo termine.
A Bologna, all’Istituto Ortopedico Rizzoli, da quest’anno è attiva la sperimentazione del metodo Videoinsight nel processo riabilitativo delle persone operate di ricostruzione del legamento crociato anteriore del ginocchio: il trattamento consiste nel presentare ai pazienti immagini accuratamente scelte dall’arte contemporanea, con l’obiettivo di curare il disagio psicologico e psicosomatico che accompagna di norma lo stato di malattia, aumentare la resistenza allo sforzo e alla fatica, potenziare le risorse cognitive e comportamentali nel percorso di cura e riabilitazione.
Sono due esempi di una prospettiva che sta avanzando in campo medico e che vede l’inserimento degli aspetti culturali, più precisamente di quelli artistici, all’interno della pratica medica.
L’accostamento dell’arte al tema della medicina e delle strutture sanitarie porta subito alla memoria celebri esempi storici che ancor oggi restano come emblema di un legame profondo tra queste due dimensioni, radicato nella storia della cultura europea. Basti pensare a Santa Maria della Scala a Siena, alla Ca’ Granda di Milano, all’ospedale di S. Giovanni a Bruges (Belgio), che hanno rappresentato per secoli dei modelli funzionali e simbolici di una gestione della cura che sapeva considerare tutte le dimensioni della persona, compresa quella estetica.
Oggi è difficile trovare tracce di tutto ciò nella maggioranza delle strutture sanitarie contemporanee ma il tema è stato portato alla ribalta grazie ad alcuni studi e ricerche e ad alcune iniziative pionieristiche in varie parti del mondo. Se ne è fatto eco il Simposio Internazionale “L’arte e l’ambiente nella cura dei pazienti in ospedale” organizzato dalla Fondazione Bracco e svoltosi a fine novembre presso il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano.
Nell’occasione è stato possibile raccogliere dalla viva voce di uno dei protagonisti di questo trend, lo svedese Sven Sandström, una serie di risultati dell’attività sperimentale sulla quale poggiano le nuove idee. Sandström nel 2000 ha fondato l’Associazione svedese “Arte Cultura e Salute” a seguito di studi che aveva iniziato fin dagli anni sessanta e facendo riferimento ai risultati delle sperimentazioni condotte, sempre in Svezia, da Britt-Maj Wikström e Boinkum B. Konlaan: in tutti questi lavori risultava evidente come l’esposizione del paziente alle immagini artistiche poteva potenziare le condizioni di salute e il generale stato di benessere; anche se devono ancora essere ben studiate e verificate le condizioni e le modalità di tale esposizione e l’insieme delle iniziative che devono accompagnarla.
Se è intuibile il fatto che nei luoghi in cui si concentra la sofferenza umana c’è maggior bisogno dell’arte, è altrettanto chiaro che «umanizzare un ospedale non significa abbellirlo con opere d’arte disposte qua e là in un ambiente non concepito per questo». Per umanizzare un luogo di cura, sostiene Ugo Pastorino dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, è necessario prima di tutto «creare un rapporto armonico tra spazio e luce naturale, con progetti architettonici che sappiano sfruttare al meglio anche il contributo artistico».
Il discorso quindi è più ampio e implica la consapevolezza, ben espressa da Romano Del Nord ordinario di tecnologia dell’architettura all’università di Firenze, del fatto che «esiste una stretta interdipendenza tra l’ambiente, la malattia, il benessere di ciascun individuo. Oggi l’affronto della malattia richiede una visione olistica delle relazioni tra corpo, psiche e ambiente. Il paziente deve essere aiutato a riappropriarsi del proprio processo di guarigione, recuperando e valorizzando gli aspetti emozionali, intellettuali e sensoriali. Ciò implica una visione dell’individuo che non è più una somma meccanica di parti ma piuttosto un organismo complesso fatto di corpo, di psiche e di anima».
Si tratta insomma, di opporsi all’idea «che la salute possa essere definita in termini negativi, cioè come assenza di malattie o di ansietà, dolore o stress, invece che in termini positivi cioè come l’esistenza di uno stato di benessere»; in tal caso, l’ambiente «deve diventare una risorsa per supportare il processori rigenerazione della salute». Del Nord cita Susan Saegert quando afferma: «coloro che sono chiamati a progettare i futuri spazi della vita devono tendere a minimizzare le qualità stress inducing dell’ambiente e a massimizzare quelle stress reducing». Nel caso degli ospedali, l’arte e le qualità percettivo-cognitive dell’ambiente rivestono il ruolo di mitigazione degli effetti stresso geni al fine di incidere positivamente sul benessere e sulla salute non solo dei pazienti ma di tutti gli utilizzatori dell’edificio ospedaliero, familiari e personale sanitario compresi.
Nel quadro dei rapporti tra arte e medicina non poteva mancare la musica. Oggi la musicoterapia si avvale del contributo delle neuroscienze che documentano l’importante effetto del suono e della musica sul cervello (ad esempio sulle aree limbiche e paralimbiche, motorie e premotorie) delineandone le potenzialità terapeutico-riabilitative a livello psichico, comportamentale, motorio e cognitivo. «Il punto centrale della terapia con la musica– dice il musicoterapeuta Alfredo Raglio – è il nesso suono-relazione, nella sua complessità e nelle diverse applicazioni. L’obiettivo degli interventi è riconducibile alla dimensione intra e interpersonale dell’individuo, nonché al ripristino e/o al potenziamento di funzioni compromesse dalla presenza di una patologia, riducendone i sintomi o prevenendo/stabilizzando le complicanze determinate dai sintomi stessi».
Un esempio eloquente è quello del Centro Esagramma di Milano: “musica e nuove tecnologie per il disagio psichico e mentale”, che propone anche percorsi di MusicoTerapia Orchestrale (MTO) dedicati a piccoli e adulti che affrontano le difficoltà legate a un quadro oncologico. «La MTO – dice Licia Sbattella che dirige l’Orchestra Sinfonica Esagramma – offre percorsi che consentono la conquista di ricchi spazi e di nuovi tempi di ascolto, di interazione, di esplorazione e di scambio: spazi e tempi in cui non solo immaginarsi e immaginare ma dove diventare capaci di esporsi, accompagnare, dialogare, poco per volta e in modo sempre più sinfonico»