Indagare sulla storia passata di un ambiente, tranquilla o burrascosa che sia stata, è possibile a condizione che ci siano dei segni che tracciano gli avvenimenti trascorsi. A volte queste tracce sono evidenti e a portata di mano; a volte sono nascoste e vanno portate alla luce con un paziente lavoro di esplorazione (come nel caso di fossili preistorici); altre volte i segni sono visibili ma possono essere resi più eloquenti tramite un opportuno trattamento. È quanto hanno fatto con la Luna Meg Rosenburg e i suoi colleghi del CalTech (California Institute of Technology) di Pasadena, che lo hanno raccontato all’inizio di quest’anno sul Journal of Geophysical Research e ora hanno ultimato un grande collage regalandoci la prima serie completa di mappe che rivelano tutte le deformazioni e le rugosità della superficie del nostro solitario satellite.
La realizzazione di questa impresa topografica è stata possibile a partire dai dati raccolti dal Lunar Orbiter Laser Altimeter (LOLA) a bordo del Lunar Reconnaissance Orbiter (LRO) della Nasa; sia LOLA che LRO sono stati costruiti al Goddard Space Flight Center della Nasa a Greenbelt, nel Maryland.
Come le rughe sulla nostra pelle, la ruvidità dei crateri e le altre caratteristiche sulla superficie della Luna sono in grado di rivelare il suo passato, le trasformazioni e i danni che ha subito negli ultimi quattro miliardi e mezzo di anni. Per poter raggiungere questo risultato, non basta scattare delle fotografie: bisogna osservare in un certo modo e la chiave dell’approccio di Rosenburg è stata quella di guardare le asperità a diverse scale, lunghe e corte. La rugosità infatti dipende dai sottili alti e bassi del paesaggio, una qualità che si ottiene misurando la pendenza in varie posizioni su tutta la superficie. Per mettere insieme un quadro completo, i ricercatori hanno esaminato rugosità a una serie di diverse risoluzioni – cioè distanze tra due punti – a partire da 17 metri fino a un massimo di 2,7 km.
Rosenburg ha spiegato che i crateri vecchi hanno rugosità diverse da quelli giovani e che la rugosità è massima ad alcune scale mentre ad altre scale le superfici appaiono più levigate. Questo perché i crateri più vecchi sono stati bombardati per eoni – l’eone è un insieme di ere geologiche – da meteoriti, che hanno modellato il sito di impatto originale cambiandone la forma primitiva; questo ammorbidimento del terreno non è successo ai siti di impatto nuovi e quindi i crateri più giovani spiccano più chiaramente.
Ciò che emerge di rilevante da queste ricostruzioni è il fatto che la Luna mostra una vasta gamma di caratteri topografici: ci sono superfici accidentate per l’accumulo dei crateri nel corso di miliardi di anni accanto a regioni levigate e riemersa da fenomeni di vulcanismo recenti.
Esaminando dove e come cambia l’asperità, i ricercatori possono ottenere importanti indizi sui processi che hanno plasmato il satellite. Una mappa delle rugosità della zona circostante il bacino Orientale, per esempio, rivela le sottili differenze nei detriti e nel materiale espulso quando si è formato il cratere a seguito dell’urto con un oggetto gigante.
Tali informazioni vanno combinate con una carta altimetrica che indica i punti più alti e più bassi. Osservando insieme i due set di informazioni, si può dedurre che una parte della zona Orientale non è solo di diversa altitudine ma è anche di diverso ruvidezza. Ciò dà indicazioni sul processo di impatto che ha proiettato il materiale espulso e anche sui processi che hanno agito in seguito per modificare la superficie. Allo stesso modo, le pianure lisce dei “mari” lunari, creati dall’attività vulcanica, hanno una “firma” di ruvidità ben diversa da quella degli altopiani della Luna; il che riflette le origini molto diverse dei due territori.
E come per la Luna, questa metodologia dell’analisi a varie scale può essere applicata anche per studiare i processi superficiali degli altri corpi del sistema solare. Certo, su Marte o Mercurio o su un asteroide i meccanismi saranno stati differenti ma comunque tali da lasciarci una traccia da interpretare per poter capire come mai i nostri vicini spaziali sono così come sono.