Il primo problema di fronte al quale si sono trovati tutti i candidati, come me, ormai abituati a scrivere al computer da anni (come tutti i professionisti della scrittura) è stato quello di tornare ad adoperare la penna. Ma questo, tutto sommato, si è rivelato il minore dei mali, e ci ha fatto davvero percepire sensazioni che avevamo dimenticato da tempo, immedesimandoci umanamente di più con gli stessi alunni che abbiamo ritrovato la mattina dopo seduti dietro i banchi, come lo eravamo noi la mattina prima. Si è trattato di un ribaltamento salutare e illuminante per certi versi.
Problema ben più serio è stato quello della eccessiva ampiezza delle tematiche, soprattutto nella prima prova. Penso infatti che i commissari si troveranno davanti ad una fatica improba, dovendo correggere centinaia di elaborati lunghissimi, resi spesso ancora più lunghi dalle otto ore a disposizione. Qualcuno è arrivato anche a riempire 18 facciate fitte – non a metà colonna – di foglio protocollo, in bella copia.
Con otto ore e con tematiche così ampie il rischio è che i tempi di correzioni si allunghino. Forse sarebbe stato il caso di individuare altre prove più mirate alla verifica delle competenze professionali.
In Lombardia la prima prova, per esempio, era troppo variegata. Di fatto, l’unica traccia ne nascondeva tre al suo interno: una disamina degli ultimi documenti europei, una comparazione delle riforme del sistema scolastico italiano e l’elaborazione di una Offerta formativa. Il risultato è che chiunque, anche chi non si è preparato in modo specifico, ha avuto da scrivere, e chi era maggiormente preparato ha dovuto operare per forza di cose una scelta, sperando che la “sua” scelta coinciderà con i criteri della commissione, che nessuno conosce, dal momento che non sono stati esplicitati.
Per quanto riguarda la seconda prova, sono stati smentiti quelli che sostenevano che ci sarebbe stato un progetto, anche se poi sviluppare un progetto poteva esser un’ottima modalità per affrontare il problema in senso ampio.
Comunque, si è trattato di casi, davvero di studi di casi, di situazioni davanti alle quali un dirigente si trova ad operare ogni giorno. Mi sembra che questa sia una strada giusta, e a dire il vero, come già detto, dovrebbe essere ancora di più approfondito (in Italia, perché all’estero lo è già) l’aspetto delle scritture “professionali”: in un concorso per dirigenti, è necessario che il candidato dimostri di essere preparato per quella professione.
Sembra che il tema del bullismo sia stato il più gettonato, in quanto comparso in 5 regioni (Lombardia, Puglia, Campania, Veneto e Liguria), seguito dalle Prove Invalsi in 3 regioni (Abruzzo, Sardegna e Sicilia), anche se il Piano dell’Offerta formativa è apparso, pur con diverse sottolineature, in 5 regioni (Basilicata, Calabria, Molise, Piemonte e Toscana). Nelle altre regioni le tracce hanno seguito altre piste.
Senza entrare nel dettaglio, rimane comunque il rammarico della mancanza di una prova nazionale, che avrebbe reso più comparabili i criteri e i giudizi, e tolto ogni sospetto di combine regionali. Come dice un vecchio proverbio milanese, “a pensare male si fa male, ma si indovina”. Una procedura simile a quella dell’Esame di stato, con prove nazionali e assicurazione della segretezza, come chiesto da Disal e da altre associazioni, sarebbe stata più trasparente.
Comunque, chiuso questo capitolo, ho un grande desiderio di lasciarmi alle spalle guerre tra poveri, battaglie legali tra idonei e non-idonei, quiz, libroni, ricorsi e controricorsi, ecc., e di tornare a scuola a fare il mio dovere di insegnante, fiducioso in quello che ho realizzato, ma con il dubbio che la bontà di quello che faccio (e di quello che ho studiato) non emerga dall’esito di questo concorso.