Pochi giorni fa si è tenuta a Fiuggi l’Assemblea Generale della Uil Scuola. Tra i temi affrontati dal sindacato guidato da Massimo Di Menna la modernizzazione della scuola, la valorizzare del lavoro, la rappresentanza e la contrattazione. Per l’occasione il sindacato ha confezionato un dossier, rielaborando dati esistenti di Euridyce e Eurostat, sui punti più controversi della nostra scuola, tra questi il tempo scuola e la retribuzione degli insegnanti. In sintesi, nel documento si sottolinea che l’Italia non spende abbastanza soldi per la scuola e che i nostri docenti sono malpagati e ottengono scarso riconoscimento professionale. “Le ricerche sulla scuola sono utili, ma devono anche essere complete – dice Daniele Checchi, professore di Economia politica nell’Università di Milano, interpellato da Il Sussidiario.net -. Il 2 ottobre uscirà una relazione che ho realizzato per la Fondazione TreeLLLe e siamo andati ad indagare, in chiave storica e comparativa fra Paesi, 50 indicatori che delineano la situazione dell’Italia nei confronti di quattro grossi partner europei: Francia, Gran Bretagna, Spagna e Germania per individuare le anomalie italiane. Non ci siamo spinti nella direzione di questo documento”.
Professore, dal dossier Uil emerge che l’Italia non spende abbastanza soldi per la scuola. E’ una novità?
Il dato riportato nel dossier Uil induce a considerazioni sbagliate. Il nostro Paese spende per il capitolo scuola una cifra perfettamente in linea con le altre nazioni europee e dell’area Ocse, mentre la cifra destinata a università e ricerca è minore della media. Ciò che non si dice nel dossier è che ad abbassare la media non è il segmento scuola che, ripeto, è nella media, ma quello dell’università.
Citando un passo del rapporto, “Da più parti, tacendo il fatto che spendiamo poco, ci dicono che spendiamo male, che tutta la spesa è concentrata sulle retribuzioni del personale mentre la realtà è ben altra: come si può vedere nella tabella seguente siamo intorno alla media europea per la distribuzione delle uscite tra personale, investimenti in conto capitale e spese correnti”. Secondo lei, anche alla luce dell’ultimo rapporto Ocse (Education at a glance) come stanno davvero le cose?
Innanzitutto, vorrei sottolineare che questa ricerca, disponibile sul sito della Uil nella sezione Scuola, riporta dati errati nonché diversi riguardanti lo stesso argomento da capitolo a capitolo. Nella sintesi della ricerca, nel paragrafo “Come si spendono le risorse disponibili?” se sommiamo le percentuali riportate, possiamo notare che la cifra totale non è il 100%. In più il dato, riportato all’interno del capitolo, relativo alla spesa corrente per il personale scolastico è pari al 77,7% mentre nella sintesi, che immagino abbiano spedito agli organi di stampa, è al 75%. (Ndr: Riportiamo di seguito l’estratto della parte del documento evidenziata dal professor Checchi: “In Germania si spende il 77,2% per il personale, più che in Italia (75,6%), le spese in conto capitale sono pari all’ 8,2% mentre in Italia sono al livello del 5,2%, le spese correnti sono il 14,6% mentre in Italia sono di quasi di due punti in più, 16,2%”. In effetti la somma delle cifre relative all’Italia è il 97% e non il 100% come dovrebbe essere).
Non le sembra che tutto il dossier sia alieno da qualsiasi considerazione sulla valutazione?
Questo è vero. L’impressione è che vogliano riportare ed evidenziare solo i dati che a loro convengono tralasciando, invece, quelli che non fanno loro comodo. Nel documento si considera che nel nostro Paese le ore di presenza in aula dei docenti è più elevata rispetto ad altri Paesi. Questo perché gli alunni stanno in aula più a lungo e abbiamo casi compresenza in classe di più insegnanti, e tutto ciò non fa altro che spingere al rialzo i costi per l’istruzione. Mi sembra che queste osservazioni siano banali e tralasciano il fatto che, ad esempio, la presenza dell’insegnante di sostegno sia un “plus” del nostro sistema. E’ logico che i servizi di qualità costino di più. Questo punto di vista nel documento non viene né colto né tanto meno sottolineato.
A questo proposito, il dossier trova un comun denominatore nelle politiche di governo di questi anni e lo riassume così: “Tagliare il tempo scuola per ridurre il numero dei docenti e quindi abbattere i costi dello Stato”. Lei che ne pensa?
Questo è vero, perchè l’ex ministro Gelmini ha fatto due operazioni simili: la prima è stata quella di modificare l’organizzazione interna del tempo pieno eliminando la compresenza di insegnanti nelle stesse ore e redistribuendole in modo che ci fosse un solo insegnante per ogni ora di lezione. La seconda è stata quella di ridurre le ore pomeridiane nella scuola media. Quindi, il risultato è una riduzione degli insegnanti o delle ore insegnate.
L’Italia secondo lei ha bisogno di più insegnanti?
No, non ne ha bisogno ma, ancora una volta, non è questo il problema da affrontare. La vera anomalia non è il numero totale degli insegnanti ma il turn-over di questi ultimi, e che un terzo di essi sia precario. Questo significa che il 30% delle scuole vede cambiare il corpo docenti una o più volte all’anno e questo mina alla base la continuità didattica.
Il dato della dispersione non è minimamente considerato dalla Uil. Non è questo la cartina di tornasole della bontà del nostro sistema e della classe docente?
Nel documento non se ne fa cenno, sebbene il tasso di abbandono non sia solo il riflesso di un buon insegnamento ma sia connesso con il territorio e il tasso di istruzione dei genitori. Se, invece, consideriamo il tasso di abbandono in uno stesso istituto possiamo correttamente dire che è il sintomo di una scarsa qualità di insegnamento.