Secondo la Costituzione, l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro, secondo altri il suo fondamento è la Resistenza. Forse per questo il Primo Maggio e il 25 aprile è così difficile trovare supermercati aperti. La stessa difficoltà non esiste a Pasqua o a Natale; eppure queste due feste sono espressione di un qualcosa che ha caratterizzato la storia dell’Italia non per qualche decennio, bensì per quasi 2000 anni: il cristianesimo.
Se ora i supermercati rimangono aperti a Natale, qualche decennio fa i cinema chiudevano il Venerdì Santo, per rispetto alla Passione di Cristo. Al solo pensiero, vi sarà chi griderà allo Stato confessionale, ma si trattava solo di un adeguamento a una pietas diffusa, misura quindi non confessionale, bensì popolare.
D’altro canto, era l’epoca della cosiddetta “Italietta”, quella per intenderci del miracolo economico, non della grande Italia laica, progressista ed europea dei nostri tempi. Un’Italia in cui non era un grosso problema la chiusura domenicale dei negozi (i supermercati di massa erano ancora rara avis), perché la spesa si faceva tutti i giorni, o quasi, nel negozietto sotto casa. Si comprava quanto bastava, senza confezioni, ma nei vari tipi di carta, da zucchero, oleata, e via dicendo, e i sacchetti di plastica erano ancora una roba da America. Che nostalgia tutto ciò dovrebbe provocare ai nostri ambientalisti!
Laudatores temporis acti? No, si sa che il passato non torna; il punto è però di non buttarlo via con sufficienza. Quella società e quella cultura avevano una logica profonda, perché radicata in una tradizione e una civiltà antica che stavano sparendo. Una civiltà in cui la giornata andava dall’alba al tramonto, si mangiavano prodotti stagionali, i giorni lavorativi si lavorava e le feste venivano rispettate come tali. Una civiltà, insomma, regolata da qualcosa che l’uomo poteva anche modificare, ma le cui regole non dipendevano solo da lui.
La transizione alla civiltà che chiamiamo moderna è stata rapida e lo scenario si è completamente trasformato. I negozietti sotto casa sono spariti, o si sono trasformati in boutique, qualsiasi cosa vendano. La spesa si fa una volta alla settimana, o giù di lì, o quando capita e dove capita, a qualsiasi ora del giorno ( ma prima o poi anche della notte). Le confezioni sono essenziali, a volte quanto il prodotto, e sono parimenti importanti sia i monodose che le grandi confezioni “risparmio”, quelle che una volta si chiamavano “famiglia”. Le prime perché ormai i “single” sono moltissimi, e comunque spessissimo ciascuno mangia per conto suo. Le seconde, perché rarefacendo la frequenza di acquisto occorre fare scorte e perché così si risparmia sul prezzo marginale, anche se si spende di più sul singolo acquisto. E poi ci sono le offerte speciali e le raccolte punti.
Con i computer, Internet e il lavoro da casa, anche la separazione tra lavoro e tempo libero, tra ufficio e abitazione sta per molti dissolvendosi; così come il weekend fuori città, magari allungato, permette a molti di cancellare anche quella cesura che una volta rappresentava la domenica. Che solo per una minoranza rimane il giorno del Signore.
Alba e tramonto sono ormai concetti relegati nei bollettini meteorologici, e la sera è lunga per tutti, così come le notti. “Far le ore piccole” è frase da evitare, perché identificherebbe subito come appartenente al passato: uscire prima delle 23 per andare a divertirsi con gli amici verrebbe ritenuto sconvolgente per ogni ragazzo dei nostri giorni.
Si torna allora al punto fondamentale: nessun ritorno al passato, ma la nostra società da quale logica, quindi da quali regole, è sostenuta? Non vorremmo che fosse una logica, appunto, da supermercato.