Il tema di una macchina capace di imitare le azioni umane risale almeno al ‘700 con lo sviluppo della meccanica di precisione e la costruzione dei primi tentativi di automi, si pensi ai primi tentativi di macchine calcolatrici e a vari manichini semoventi. A tale periodo si può far risalire l’idea di sostituire l’uomo con una macchina in attività considerate prettamente umane.
L’avvento dell’elettronica ha dato un grande impulso a tale progetto permettendo una sempre più avanzata automazione dei processi industriali; la nascita dei computers e il successivo svilupparsi dell’informatica ha portato al moderno concetto di robot come macchina in grado di sostituire l’uomo in compiti ripetitivi prima e in attività decisionali poi.
La diffusione di robot nella vita quotidiana ha reso necessario il passaggio dall’utilizzo riservato a personale specializzato a quello da parte di persone qualsiasi che si trovano ad interagire con la macchina senza conoscerne il comportamento. Questo ha portato a sviluppare le interfacce vocali in linguaggio naturale – si pensi allo sviluppo delle protesi robotizzate come esempio -, e allo sviluppo di quella che viene chiamata soft robotics in cui viene affrontato l’interazione tattile con l’utilizzatore. Si è passati dall’interazione visiva, prima testuale e poi grafica, a quella uditiva ed ora a quella tattile.
La robotica è entrata anche in quel processo tipicamente umano che è l’apprendimento. L’utilizzo di macchine “intelligenti” stimola il processo di analisi del problema in tutti i dettagli e obbliga a individuare l’obiettivo nei suoi caratteri essenziali. In questo modo si acquisisce la capacità di progettazione di un’attività.
La progressiva sostituzione dell’uomo di quelle che sono considerate le attività superiori pongono una serie di problemi per quello che riguarda l’occupazione lavorativa: molti mansioni anche intellettuali saranno svolte dalle macchine, ad esempio già adesso ci sono computers che gestiscono il trading borsistico, si parla di software per l’esecuzione di diagnosi mediche, di automobili a guida autonoma.
Tutto questo comporta la necessità di ridefinire il concetto di responsabilità giuridica: chi è il responsabile delle conseguenze dannose delle decisioni di queste macchine? È quindi necessario un adeguamento sia della politica occupazionale sia della legislazione sulla responsabilità.
Un nuovo quadro di norme comunitarie sollecitato dai deputati Ue al parlamento europeo – citata da Alberto Magnani – affronta questi problemi e si propone di istituire un’agenzia che fornisca le competenze tecniche e etiche necessarie alla loro regolamentazione. Nella relazione si prospetta di classificare gli automi come “persone elettroniche responsabili delle proprie azioni”, ma questo mi sembra un enunciato piuttosto contraddittorio. I termini di persona e di responsabilità sono infatti strettamente collegati, con il secondo discendente dal primo e comportano per la persona di dover subire le conseguenze dei suoi atti: come è possibile questo per una macchina, per quanto sofisticata, quando non è possibile per gli animali che sono ovviamente non punibili per i loro atti?
Ancora una volta un’attività umana sta costringendo l’uomo a interrogarsi sul senso della sua esistenza.