Silvio Guerra è preside dell’Istituto Charles de Foucauld a Parigi, una scuola cattolica che va dall’infanzia fino a corsi parauniversitari post-diploma. Ieri era ospite del convegno nazionale organizzato da Cdo Opere educative, dove ha tenuto una relazione su quello che è accaduto nella sua scuola dopo il 7 gennaio, giorno della strage di matrice islamista nella redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo. La Charles de Foucauld, infatti, è frequentata da parecchi giovani musulmani.
Professore, cosa hanno significato per la vostra scuola i fatti del 7 gennaio?
Sono stati anche per la nostra scuola una specie di terremoto sociale. I ragazzi erano molto agitati; sicuramente per il contraccolpo di tante emozioni, comunque era visibile un comportamento anomalo.
In che senso?
Nel senso che da una parte c’è stata una reazione di condanna unanime da parte degli alunni musulmani, però in una sorta di disorientamento dovuto alla difficoltà di collocare la vicenda in un orizzonte di senso: gli attentatori erano dichiaratamente appartenenti alla religione islamica e questo di per sé spingerebbe a solidarizzare; nello stesso tempo, per i ragazzi era evidente che non è questo ciò che vogliono.
Quanti ragazzi musulmani frequentano la vostra scuola e perché vengono nella vostra scuola che è dichiaratamente cattolica?
Nella Charles de Foucauld su 520 ragazzi circa il 30 per cento sono musulmani. Vengono nella nostra scuola portati da famiglie che sono venute in Francia sapendo bene cosa avrebbero trovato. Sono famiglie “moderate”, con le quali c’è un rapporto sincero e interessante, che considerano ancora importante il criterio dell’autorità, e con le quali quindi il rapporto è più semplice: ti vengono dietro nelle tue decisioni e sempre ti ringraziano, perché riconoscono valori educativi che corrispondono ai loro.
“Corrispondono ai loro”? In che senso?
Anche se siamo una scuola cattolica, in cui l’insegnamento della religione cattolica è obbligatorio, ci sono molto rispetto e attenzione. Sanno — perché glielo diciamo chiaramente da subito — che lo scopo non è fare proselitismo ma aiutare i ragazzi ad andare più a fondo delle proprie domande e convinzioni; nello stesso tempo, queste famiglie percepiscono che da parte nostra c’è il desiderio di condividere con loro il compito di educare e poi preferiscono una scuola dove si parla di Dio piuttosto che una scuola laica dove si parla del nulla. Queste famiglie sono la miglior pubblicità per noi, perché arrivano per un passaparola fra le famiglie musulmane basato sui risultati scolastici, sull’attenzione alle persone e sui valori educativi.
Torniamo ai fatti del 7-9 gennaio: come hanno reagito i ragazzi?
I ragazzi hanno reagito come in generale tutti i ragazzi delle scuole francesi: hanno tappezzato la scuola di slogan sulla libertà di espressione, rispettato il minuto di silenzio, mostrato gli slogan “Je suis Charlie” e una matita in segno di sfida. Hanno anche trovato una poesia di Paul Éluard, scritta su un giornalista Gabriel Peri, ucciso dalla gestapo. Hanno cambiato le parole usando “Charlie” invece del nome del giornalista. Alcuni di loro hanno ideato un giornalino per scrivere e reagire a quanto hanno vissuto. Il giornale l’hanno chiamato: “Charlie Foucauld”, modificando il nome del nostro liceo.
Ha avuto successo?
Hanno già tirato due numeri, anche se in sostanza è più che altro un tentativo di dare sfogo alla loro rabbia e al loro desiderio di non “lasciarsi fare”, di “combattere per la libertà di parola”.
Cioè?
E’ evidente che il loro desiderio non è educato. Come tutti i giornali e i media, dopo gli attentati si sono affannati a cercar di definire la “libertà” attraverso concetti e astrazioni, come se l’esperienza di libertà potesse essere definita. Pressoché nessuno ha pensato di verificare quali esperienze di libertà esistono, sono possibili: è l’epigono della mentalità illuministica. Questi ragazzi ne sono il frutto.
Ha provato ad aiutarli?
Sì, gli ho posto una domanda, dopo aver letto i loro giornali: — ma perché voi vi sentite liberi quando siete contro qualcosa o qualcuno? Così sarete sempre come una foglia in balia di dove tira il vento. Non costruirete mai niente di stabile! — Ho poi aggiunto che per me, invece, essere libero vuole dire essere per qualcuno e qualcosa. E che questo è buono e vero lo verifico perché la mia vita “cresce” in me e attorno a me. Sono rimasti colpiti. Non so quanto abbiano capito, ma la cosa li ha intrigati. E poi gli ho detto anche di incontrarsi, anziché scrivere cose sui muri, perché è evidente che per loro incontro e dialogo sono categorie che non esistono…
Altre reazioni?
Alcuni ragazzi musulmani, l’indomani degli attentati, hanno cercato di giustificare quanto era successo dicendo che i giornalisti se l’erano cercata. Oppure, che era un “complotto” contro i musulmani per screditarli. Ma sono stati una minoranza e soprattutto erano la ripetizione di opinioni che circolavano sui siti internet. Altri esprimevano un sentimento di rabbia perché ancora una volta erano al centro di polemiche che mettevano in cattiva luce l’islam. Solo un po’ alla volta siamo riusciti a portarli alla ragione, soprattutto dicendo che non c’era rapporto tra i terroristi e l’islam. Questo fatto li ha rassicurati: non si sono sentiti esclusi o messi all’indice.
E i professori?
Mi ha molto colpito la reazione di alcuni professori, alcuni di loro erano veramente “in crisi”. Si chiedevano affranti: — Com’è possibile che nostri ragazzi, nati in Francia, non si sentano francesi, pur avendo la nazionalità francese? Perché considerano sempre il loro paese d’origine quello dei loro genitori? Perché non si sentono mai integrati alla società francese ma vivono in modo parallelo? In particolare, com’è possibile che la scuola, con i contenuti che insegna, non aiuti i ragazzi a integrarsi? — Sono tutte domande che esprimevano un vero desiderio di capire, anche di mettersi in discussione.
In effetti è una domanda aperta. Lei cosa ne pensa?
Il vero problema sono i figli di seconda e terza generazione, per i quali un certo islam radicalizzato rappresenta la possibilità di trovare radici. C’è un bisogno drammatico di riempire il vuoto causato da un laicismo esasperato, che in nome di una certa idea di libertà sta distruggendo ogni ideale. Da questo punto di vista, la manifestazione della domenica, cui hanno partecipato tanti capi di stato e tantissime persone, è stato un evento potenzialmente controproducente.
Perché?
Perché di fatto ha volutamente esaltato un tipo di libertà totalmente anarchica. E se la libertà è questa, loro non ci possono stare…
Qual è allora il compito che attende la scuola Charles de Foucauld e tutti noi?
Non ridurre i rapporti a regolamenti; lasciarci interrogare da chi abbiamo di fronte, senza anteporre etichette e dare riposte preconfezionate; mettere sempre al centro la persona e privilegiare il rapporto. E’ davvero possibile costruire rapporti di pace, di dialogo, di rispetto reciproco. E’un lavoro impegnativo, ma è possibile. Ed è bello.