Lo scandalo (letterario) si addice a Vladimir Nabokov. Schivo e riservato, estraneo a qualsivoglia schieramento letterario, il più limpido ed elegante, il più geniale tra i molti grandi prosatori del Novecento russo – e non solo, giacché a partire dal 1939 diventò un autore in lingua inglese – destò grande scandalo, com’è noto, quando negli anni Cinquanta riuscì a pubblicare il suo capolavoro americano, Lolita.
Meno noto è che anche le sue prime prove (dai racconti, riuniti in traduzione italiana con il titolo La veneziana, ai romanzi, come Re, donna, fante, La difesa di Luzhin, Invito a una decapitazione, tutti usciti presso Adelphi), composte in russo a Berlino (dove Nabokov, nato a Pietroburgo da una famiglia dell’antica aristocrazia e fuggito dalla Russia dopo la rivoluzione del ’17, visse dal 1922), scandalizzarono con le loro straordinarie invenzioni linguistiche e narrative i lettori e i critici benpensanti dell’emigrazione. Il suo capolavoro russo, Il dono (1935-37), poté apparire in volume soltanto nel 1952, quando l’autore si era ormai trasferito negli USA e fuori della Russia si contavano ormai sempre meno lettori russi (nell’URSS, invece, iniziò a essere pubblicato a partire dagli anni della perestrojka). Negli anni Trenta a scandalizzare gli intellettuali émigrés tanto da impedirne la pubblicazione era stato il capitolo del Dono in cui Nabokov si prendeva gioco – con radiosa intelligenza e irresistibile humour – del nume tutelare del pensiero critico e sociale russo, capostipite della tendenza democratico-rivoluzionaria: il critico letterario Nikolaj Chernyshevskij, autore nel 1863 di un pessimo romanzo intitolato Che fare? (proprio come le tesi leniniane del 1902).
Oggi, a poco più di trent’anni dalla morte, un nuovo scandalo – l’ultimo dobbiamo immaginare; o forse più semplicemente si tratta di clamore pubblicitario – investe il nome di Nabokov, con la pubblicazione, imminente in lingua inglese e in traduzione, di L’originale di Laura (Adelphi), primissima stesura dell’ultima opera cui Nabokov poté lavorare. In punto di morte Nabokov avrebbe voluto bruciare queste pagine (proprio come riuscì a fare con l’ultima parte delle Anime morte il suo amatissimo Gogol’), ma L’originale di Laura si è conservato per volontà della famiglia, e la sua pubblicazione ripropone l’annoso quesito: è giusto non rispettare la volontà dell’autore?
È certo comunque che a questo ultimo romanzo Nabokov non ebbe il tempo di dedicare le meticolose cure cui sottoponeva sempre ogni suo lavoro, riscrivendolo innumerevoli volte fino a rendere con la freschezza di uno sguardo sorprendentemente nuovo ogni più piccolo particolare (nei dettagli, secondo Nabokov, non c’è il diavolo, come vuole un noto proverbio inglese, ma Dio) di un mondo visto nella sua compiuta bellezza.