Una profonda contraddizione vizia il regolamento di riordino della scuola secondaria di secondo grado approvato il 20 gennaio dalla commissione Cultura della Camera e da sottoporre al Consiglio dei Ministri del 22, incongruenza che si osserva incrociando l’enunciazione dei principi e delle finalità con l’organizzazione del servizio. Se da un lato si riconosce alle scuole la libertà di disegnare autonomamente percorsi atti al conseguimento, la finalità istituzionale che consiste nel mettere in grado i giovani di interagire positivamente con l’ambiente, dall’altro lato si prefigura una situazione che rende impraticabile tale prerogativa. La relazione illustrativa del ministero elenca alcuni elementi chiave della riforma tra cui «la possibilità delle istituzioni scolastiche di modellare la propria autonoma proposta culturale attraverso il Piano dell’Offerta Formativa, l’utilizzo consapevole degli strumenti di autonomia progettuale», affermazione che richiama le vigenti norme che stabiliscono: «l’autonomia si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana». Tale premessa prefigura una situazione in cui le scuole, conosciuti i traguardi formativi ed educativi, organizzano il servizio per conseguirli. Il regolamento, in conformità a tale assunto, elenca i risultati sotto forma di competenze generali, comportamenti che i giovani devono saper praticare al termine del corso di studi. Sulle singole scuole grava la responsabilità d’identificare e di coordinare le risorse per portare gli studenti al successo. La natura del problema comporterebbe l’esistenza di ampi gradi di libertà: libertà di individuare gli strumenti culturali idonei, libertà di intrecciarli, di ideare e di formalizzare occasioni d’apprendimento, libertà d’utilizzare le risorse umane per massimizzare l’efficacia del servizio. Il regolamento, invece, non si sviluppa in funzione delle nuove finalità che implicano l’unitarietà del servizio di cui l’interdipendenza degli insegnamenti è la chiave di volta, ma rimane ancorato a un’arcaica idea di scuola. Si tratta di una situazione assimilabile a una catena di montaggio in cui i singoli operai lavorano senza condividere lo stesso piano di lavoro. Il documento, infatti, incurante delle proprie enunciazioni teoriche, vincola irrazionalmente la vita delle istituzioni.
Ecco come: “Lo sviluppo della persona umana” che la legge Moratti del 2003 fa corrispondere allo «sviluppo di capacità e competenze attraverso conoscenze e abilità» è sostituto da «i risultati di apprendimento sono descritti in competenze, abilità e conoscenze». Da cui, essendo “competenza” un termine non primitivo, deriva la sostituzione delle finalità con gli strumenti disponibili: la categoria capacità è stata sostituita dalle conoscenze e dalle abilità. E ancora. Il paragrafo monitoraggio e valutazione di sistema è concepito al di fuori della dottrina contemporanea riguardante il governo delle organizzazioni: il controllo è istituito sul prodotto, non sui processi. È come se in un’azienda che produce prototipi di formula uno ci si limitasse a registrare i tempi di percorrenza del circuito senza studiare e orientare le prestazioni di progettisti, tecnici, meccanici e piloti. Anche i quadri orario, su cui si è concentrata l’attenzione di molti interlocutori del ministero, sono un sintomo dell’incongruenza qui segnalata: il servizio scolastico ha natura progettuale, progettualità che si sostanzia nell’ideazione e nel governo di percorsi formativi/educativi/di insegnamento nei quali tutte le risorse devono essere a completa disposizione dei soggetti responsabili del servizio.
(Enrico Maranzana)