Senza polemiche, ma con un po’ di fastidio. Il giorno dopo le prove dell’esame di stato è la volta dei commenti. Giornalisti, scrittori, esperti di varia natura, chiosano i testi, le proposte, i temi e dicono la propria opinione. Intellettuali che commentano fatti intellettuali. Gente che in genere con la scuola non c’entra nulla. Illeggibili. In genere li salto piè pari. Giornali, televisioni, ne sono pieni e dico a me stesso che un pubblico di 500mila candidati, più familiari, nonni e zii, fanno un bel bacino d’utenza, pubblicità misurabile e vendibile, tanto da guadagnare le prime pagine.
Passato il fastidio, rimane la sostanza. Le “traccie” (sic) 2017 portano a vanificare il lavoro di un intero anno scolastico e mettono in evidenza come chi è al vertice dell’istruzione italiana non abbia ancora la minima idea di cosa significhi un percorso di studi. Nei licei Manzoni e Leopardi si affrontano ancora in quinta, prima di affrontare il decadentismo e poi il Novecento. Più o meno si arriva a Montale, di pari passo con il Paradiso dantesco. Ed è noto che l’analisi del testo è puntualmente incentrata su un poeta o scrittore del Novecento. Guardiamo la sequenza dell’ultima decade: Caproni 2017, Eco 2016, Calvino 2015, Quasimodo 2014, Magris 2013, Montale 2012, Ungaretti 2011, Levi 2010, Svevo 2009, Montale 2008, Dante 2007. Ma chi potrebbe dire ai docenti di lettere dei licei, e negli istituti tecnici in genere si parte da Verga per arrivare sempre a Montale, di tagliare l’Ottocento per concentrasi sulla letteratura del secolo successivo? Caproni vale Leopardi? Impossibile il confronto, certo, ma l’organizzazione dei curricola è fatta così e come è noto la letteratura del Novecento è sempre tirata per i capelli.
I docenti, poi, devono fare i conti con l’alternanza scuola-lavoro che nel triennio ha occupato gli studenti con 400 ore ai tecnici e 200 ai licei. Al Miur non hanno ancora messo in conto tale variabile, che riduce fortemente il tempo scuola e la preparazione di base, anche se sono loro che l’hanno voluta fortemente. La coperta è sempre più stretta, anche se le prove dell’esame di stato hanno un target molto alto. Infatti se guardiamo alle tematiche dei saggi brevi proposti quest’anno, è richiesta una notevole capacità critica: la natura tra idillio e minaccia nella letteratura e nell’arte (saggio breve artistico letterario) implica una vasta conoscenza dei testi e degli autori, una buona capacità di confronto ed estrapolazione dei temi, con immagini di Turner e Pellizza da Volpedo sconosciuti ai più. Adatto per l’élite dei licei, inarrivabile per la maggioranza.
Qualcuno ha poi riflettuto sul saggio “Disastri e ricostruzione” (saggio breve storico politico)? La prova mette insieme la distruzione del monastero di Montecassino del 1944, l’alluvione di Firenze del 1966 e il rapporto tra virtù e fortuna in Machiavelli, con la nota metafora dell’acqua del fiume che devasta tutto quello che incontra. Queste prove richiedono informazioni, conoscenze, capacità di confronto tra i dati, riflessione critica vera e ovviamente abilità argomentative che gli studenti medi non hanno. Insomma una scuola novecentesca, con impianto didattico basato sulla trasmissione delle conoscenze, nel bel mezzo della rivoluzione dei nativi digitali, va a valutare gli studenti con prove che richiedono abilità critico-riflessive, competenze e creatività elevate, alti livelli comunicativi.
Se infine si guardano i temi, c’è un’altra sorpresa. Non si era mai visto che un traccia di carattere storico, che presume uno svolgimento libero sia nei contenuti che nei registri espressivi, avesse allegati due brani di apparato. Vero tema o saggio breve? Entrambi? Documenti da citare oppure no? Se lo studente non ne ha tenuto conto, viene inficiata l’aderenza alla traccia? Se ne trae spunto ma non cita l’autore, commette l’errore di appropriazione del contenuto, con l’implicito errore di citazione della fonte? Insomma un ibrido, una prova veramente sleale per un allievo già sottoposto allo stress della prova di maturità.
Anche il tema di carattere generale aveva delle anomalie. Si tratta di una complicata frase di Boncinelli sul progresso, con scaletta annessa. I redattori hanno avuto paura che il candidato non avesse un’adeguata comprensione del brano e quindi hanno proposto dei punti esplicativi? E allora perché proporlo? Bisogna ricordare che il tema ha come sua propria caratteristica l’organizzazione libera dei contenuti da parte dello studente. In quell’aspetto si misura la capacità narrativa, argomentativa e informativa di chi scrive. Se gli si nega anche questo, su cosa si conduce la valutazione? Poi ci si meraviglia che i compiti abbiano scarsa rielaborazione personale, con contenuti e coerenza limitati.
Su queste basi la valutazione diventa ardua, anche se i presidenti di commissione martellano sull’adozione di griglie oggettive. Ma così, dietro la garanzia di un’imparzialità solo formale, i voti perdono la capacità di misurare la reale preparazione dei candidati. La riprova sta proprio nel fatto che i promossi sono circa il 99,5 degli ammessi. Ed ecco uno dei motivi per cui i voti finali della maturità vanno a caso, con disparità enormi tra le regioni italiane.
Dunque dalla lettura delle prove d’italiano 2017 si fa strada un’ipotesi già emersa in passato. Il rigido controllo statale-ministeriale sulla scuola italiana, reso esplicito anche sulle prove finali del secondo ciclo, mostra che il capo non sa come funziona il corpo; e quando effettua un check-up, non usando esami adeguati, finisce per sbagliare, perché il vertice ha in testa una realtà che non esiste.