L’incontro tra Francesco e Napolitano si è inserito in una serie ormai consistente di incontri tra Papi e Presidenti della Repubblica. Dopo i precedenti di Giovanni XXIII e di Paolo VI, tra Giovanni Paolo II e Pertini si stabilì una intesa personale, quasi un’amicizia. Questo papa ha poi incontrato anche Cossiga e Scalfaro, due cattolici entrambi orgogliosi della propria laicità e in rapporti non facili con altri esponenti dell’istituzione ecclesiastica. Tra Benedetto XVI e Napolitano si è poi stabilita una convergenza solida e profonda, nel contesto di una comune preoccupazione per la situazione italiana e sulla base di una comune visione delle responsabilità europee. Insomma, benché nei due colli romani, il Vaticano e al Quirinale, si siano succedute negli ultimi decenni personalità molto diverse, i Papi e i Presidenti della Repubblica hanno continuato a frequentarsi, a capirsi, a collaborare.
Si poteva pensare che, dopo il Concordato del 1984, sarebbe prevalso un altro tipo di rapporti: quelli tra Conferenza episcopale e governo italiano, accomunati dall’interesse di entrambe le istituzioni ad affrontare i problemi che riguardano Stato e Chiesa in Italia. Negli ultimi decenni, indubbiamente, tali rapporti hanno conosciuto un inedito sviluppo. Eppure, come si è già detto, anche quelli tra il Papa e il Presidente della Repubblica hanno conosciuto un’intensificazione. Tali incontri mostrano che le questioni riguardanti i rapporti tra Stato e Chiesa in senso stretto non esauriscono l’orizzonte più ampio dei rapporti tra la Chiesa e l’Italia. C’è molto di più, infatti, nel legame profondo che unisce da secoli il pastore universale della Chiesa cattolica e quella realtà italiana che ha contribuito nei secoli a difendere la libertà del papa.
Questo più vasto orizzonte è emerso nell’incontro tra il Papa eletto dopo le inattese dimissioni di Benedetto XVI e il presidente rieletto contro molte previsioni e la sua stessa volontà. Ne ha parlato esplicitamente Napolitano, ricordando che i sentimenti e i pensieri suscitati da Francesco negli italiani – lui compreso – vanno “ben al di là del tessuto dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato in Italia”. Il fatto è che anche questi rapporti devono essere collocati nell'”orizzonte più vasto […] a cui oggi si deve necessariamente tendere […] dinanzi alle inaudite sfide dell’oggi, da superare – guardando al futuro – attraverso la più larga mobilitazione delle coscienze e delle energie – innanzitutto morali – di un popolo come il nostro, e di ogni popolo”.
Più che discutere di relazioni tra Stato e Chiesa, insomma, chi ha responsabilità, politiche o religiose, non può non chiedersi come mobilitare le coscienze e dove trovare le “energie – innanzitutto morali” per affrontare grandi sfide.
Napolitano ha sottolineato in questo senso l’importanza del messaggio che Papa Francesco ha saputo trasmettere, in particolare “quello dell’amore per gli altri [che] sprigiona potenzialità nuove per combattere il dilagare dell’egoismo, dell’insensibilità sociale, del più spregiudicato culto del proprio tornaconto personale”.
Il Presidente ha citato molti temi cari a Francesco, come la realtà delle tante periferie umane e geografiche, le condizione dei giovani privi di lavoro e la solitudine in cui vengono lasciati gli anziani, per sottolineare che “ne scaturiscono, come non mai, responsabilità comuni. Responsabilità che la Chiesa si assume esprimendo e diffondendo i suoi valori” ma a cui sono chiamate anche le istituzioni politiche laiche. Oggi, invece, in Italia, la politica ha una “drammatica necessità” di rinnovare le “proprie basi ideali, sociali e culturali” nella prospettiva indicata dal Papa. Napolitano ha, infatti, riconosciuto che, all’interno di “una faticosa quotidianità […] stravolta da esasperazioni di parte in un clima spesso avvelenato e destabilizzante” siamo molto “lontani nel nostro paese da quella ‘cultura dell’incontro’ che Ella ama evocare”.
A giudicare dal linguaggio dei corpi, dal movimento delle labbra e dai gesti delle mani, il Papa era in profonda sintonia con il Presidente. Lo confermano anche alcune delle parole da lui pronunciate che, più di altre, tradiscono un’impronta bergogliana: “Il compito primario che spetta alla Chiesa è quello di testimoniare la misericordia di Dio […] perché là dove cresce la speranza si moltiplicano anche le energie”.