Sono trascorsi tre anni da quando Benedetto XVI ha effettuato una rinuncia senz’altro epocale nella storia della Chiesa. Durante il Concistoro dell’11 febbraio del 2013 si è consumato un passaggio che ha sollevato indebiti parallelismi col diritto costituzionale e amministrativo statale, nonché le più fantasiose ricostruzioni dietrologiche. Caldeggiate ad uso e consumo dei media, cavalcate, non senza qualche ulteriore scadimento verso gli scandalismi, dagli stessi studiosi delle istituzioni religiose. Il consenso mediatico che sta interessando la figura del successore di Benedetto XVI, papa Francesco, non ha, nei mesi e negli anni successivi, impedito che quel clamore ostile si proiettasse persino sull’operato dello stesso Bergoglio, dando adito a pretese eccezioni di invalidità, nullità, illegittimità (!) e via confondendo…
Per questo non si può non apprezzare l’operato di chi, servendosi solo del diritto canonico e della sua impalcatura teologica, ha avuto premura di censire criticamente tutte le ipotesi più azzardate, confutandole sul piano giuridico, ecclesiologico e pastorale. È con questa inevitabile premessa che conviene leggere l’ultimo volume di Geraldina Boni, Sopra una rinuncia. La decisione di papa Benedetto XVI e il diritto, per i tipi di Bononia University Press (Bologna, 2015). Il testo si premura di ricostruire lo statuto giuridico personale attribuito a Joseph Ratzinger e discutibilmente entrato nel linguaggio comune come “emeritato”. Evidentemente, il Pontefice romano (in realtà, qualsivoglia autorità religiosa) non è il presidente di un’associazione di diritto privato. Piuttosto, è soggetto, nell’ordinamento canonico, che agisce alla stregua dei principi e delle regole di quell’ordinamento (e, in questo caso, la lunga riflessione dedicata al canone 332, pp. 12-18, contribuisce di per sé a diradare la strumentale nebulosa di ipotesi farraginose e canonisticamente infondate).
In questa stessa sezione del libro, si apprezza il confronto tra la Costituzione apostolica di Giovanni Paolo II Universi dominici gregis e l’abrogata Costituzione di Paolo VI Romano Pontifici Eligendo. Segnalando, per altro verso, che la prima fonte si inserisce pienamente nelle dinamiche legislative ecclesiastiche post-codiciali, a differenza dell’altra, che aveva ancora nel Codice canonico del 1917 il suo più immediato riferimento normativo.
Proprio il raffronto tra queste due fonti consente all’autrice di superare le letture superficiali che pongono in connessione la conclusione del pontificato di Benedetto e quella di Giovanni Paolo II. Laddove il secondo avrebbe “stoicamente” sopportato un visibile deperimento fisico (inopinatamente spettacolarizzato) e il primo avrebbe, “laicamente” (sic), preferito un atto di “dimissioni”.
Il seguito del libro procede con una struttura argomentativa di grande chiarezza, anche quando l’esegesi giuridica si complica. La causa della rinuncia è ampiamente analizzata secondo il suo unico profilo attendibile: il bonum ecclesiae (il bene della Chiesa dei fedeli di Cristo).
Si sfugge al radicale volontarismo, invece, caldeggiato da letture meno connesse all’ordinamento, e nondimeno si contesta la tesi di chi assimilerebbe la soggettività giuridica del Pontefice a quella di un indistinto organo istituzionale dello Stato. Il fatto che Benedetto XVI si sia espressamente riferito alla ingravescens aetas(sbrigativamente riletta come “età avanzata”) non consente di dare del tutto ragione a interpretazioni pure accorate, quale quella di Giorgio Agamben, che vedrebbero nella rinuncia il compimento di un disegno escatologico.
Il terzo capitolo del volume, significativamente nominato “La straordinaria normalità della rinuncia” (pp. 69 ss.), ha il pregio di collocare il crinale tra Benedetto XVI e Francesco nella dimensione sua propria. Un evento inusitato per la cristianità, persino traumatico sotto il profilo sostanziale, ma non “abnorme” o contro legge rispetto alle previsioni del diritto.
Proprio il carattere dell’ingravescens aetas (legato a filo doppio al bene della Chiesa), rende considerazioni del genere fantasiose per il futuro e mal percorribili per il presente.
Da qui segue, del resto, la sezione più articolata del testo (pp. 153 ss.), dove si analizza sotto il profilo dottrinale il contenuto del munus-ministerium del successore di Pietro.
Sembra la logica conseguenza del percorso sin qui delineato che l’autrice consideri come Joseph Ratzinger non abbia dismesso il suo ruolo sacramentale. Semmai, Benedetto ha deciso di spogliarsi del munus-pontificiumpapale, nella potestà di governo.
Evitando infondate comparazioni con episodi storici dei secoli trascorsi, peraltro ancora largamente dibattuti, l’autrice (p. 191) non può non notare come non vi sia contraddizione, ma piena complementarietà tra la vita contemplativa e la vita attiva, tra la Chiesa spirituale e la Chiesa carnale. Il gesto di Joseph Ratzinger non va ritenuto, perciò, né atto meramente individuale, né modello obbligatorio a futura memoria. A chi ritiene praticabile l’ipotesi di un co-papato, l’Autrice ha buon gioco a ricordare che la lettera enciclica Lumen Fidei, pur se conclusa a partire dal lavoro concettuale già impostato da Benedetto XVI, è firmata dal solo Papa Francesco. Al più, come riconosce lo stesso Francesco, comune resta l’elaborazione, condivisa la direttrice esistenziale.
Il volume di Geraldina Boni ha, perciò, tante frecce al proprio arco, giovevoli per gli studiosi, ma per chiunque abbia a cuore le sorti della cristianità e, con essa, della manifestazione del sentimento religioso in forma associata in ogni sua declinazione.