John Milton (1608-1674) per primo fece di Satana un eroe titanico, innestando nella tradizione giudaico-cristiana un concetto — l’eroica ribellione contro un dio ingiusto — che era stato dei classici. Lo fece forse inconsciamente, senza pensare a se stesso come a un satanista. Infatti in Milton la perdita del Paradiso resta per l’uomo un’immane catastrofe.
Non così per William Blake (1757-1827), esoterista, visionario, rivoluzionario, libero pensatore, che interpretava ogni religione istituzionalizzata come una forma di schiavitù e il demonismo come espressione di libertà e genialità. Egli rimase affascinato da Milton e dal suo Satana-eroe; tanto da dedurne che “Il motivo per cui Milton è in catene quando scrive di Dio e degli angeli e libero quando scrive dei diavoli e dell’inferno è che apparteneva al partito del diavolo senza saperlo”. Fu Blake a fare di ogni figura demoniaca un’icona della rivoluzione (che era un bene) contro ogni ordine precostituito (che era un male), fosse esso di natura letteraria, politica o religiosa.
La figura dell’eroe titanico maledetto fu raccolta con entusiasmo dalla seconda generazione dei romantici inglesi, i quali, notoriamente, nel Dio cristiano non credevano affatto. Byron scrisse una poesia intitolata Prometeo (1816), mentre Shelley (che a suo tempo era stato espulso dall’Università di Oxford per un opuscoletto che proclamava “la necessità dell’ateismo”) compose un dramma lirico, il Prometeo liberato (1820), inneggiando a un’astratta, suprema libertà da qualsiasi costrizione. Nel frattempo la donna che fu prima la sua amante e poi sua moglie (in seguito al suicidio della moglie abbandonata) scrisse, un po’ per scherzo e un po’ no, uno strano romanzo sottotitolato Il moderno Prometeo che pubblicò anonimamente. Parliamo del Frankenstein, naturalmente (e segnaliamo che sull’argomento è in uscita per Ancora un interessante saggio di Paolo Gulisano).
Altro che Gothic novel. Abbiamo, qui, un misto di fantascienza e distopia in cui il migliore dei sogni si trasforma nel peggiore degli incubi. Il protagonista, Victor (“colui che vince”), genio romantico, è un medico che trasgredisce la legge naturale per sconfiggere la morte e regalare all’uomo la vita eterna. Strano titano, questo “vincitore”, in quanto non combatte contro Dio, peraltro mai nominato nell’opera, bensì contro i limiti umani. Escludendo qualsiasi pensiero trascendente, egli fa di se stesso un Dio immanente, dotato di potere creativo; senonché la sciagurata, orrida creatura prodotta dal suo esperimento è tanto ributtante che egli la abbandona senza un ripensamento come un rifiuto da laboratorio. Affamato di amore, il “mostro” diventa uno spaventoso, inesorabile assassino di innocenti. E, una volta di fronte al suo “creatore”, gli urla in faccia: “Come hai osato scherzare così con la vita?”.
L’alternativa al farsi Dio è la disperazione. Anche perché, se Dio non c’è, la lotta titanica diventa impossibile. Se ne accorse, in ambito positivista, Thomas Hardy, che in un sonetto giovanile, Hap, lamentò l’impossibilità di prendersela con chicchessia per la propria infelicità. Magari esistesse un dio crudele e persecutore, scrive: almeno saprei perché soffro. Così, invece, il mio dolore è una assoluta, inutile, inspiegabile mancanza di senso che capita per caso.
Nichilismo e disperazione sono, ovviamente, i temi dominanti del Novecento, quando divenne di moda proclamare la morte di Dio. Ma la mistura prometeico-satanica riaffiora continuamente come attacco a tutto ciò che a Dio rimanda, cioè, essenzialmente, alla Chiesa cattolica.
Tra i vari poeti maledetti e romanzieri pseudostorici c’è solo l’imbarazzo della scelta. Uno di loro, però, tale Philip Pullman, è recentemente andato dritto a recuperare la radice miltoniana e, sfruttando l’immagine titanica di Satana, ha cercato di capovolgere il principio stesso del Paradiso Perduto: la cacciata dall’Eden è stata un bene, Satana è un eroe e Dio, o meglio, l’idea di Dio (definita l'”Autorità”), è da combattere e da uccidere in nome della libertà. Niente di nuovo, in fondo. Senonché, travestendo la sua opera da saga fantasy (il cui nome originale, His Dark Materials, è una citazione diretta da Milton), egli propone il satanismo eroico innanzitutto ai ragazzi e ai giovani, che ne restano affascinati. La saga della Bussola d’oro altro non è che, in una zuccherosa imitazione del titanismo, l’ennesima storia di ribellione dell’uomo che, fattosi essere supremo, si arroga il diritto di definire il bene e il male e alla fine, come direbbe san Paolo, indica se stesso come Dio. Soltanto qui il suo delirio di onnipotenza si realizza: roba da fantasy, naturalmente, e da fantasy malato. Ride di lui, e di Pullman, chi abita nei cieli.
(2 – fine)