Le parole che Shakespeare mette in bocca ad Amleto nel II atto della omonima tragedia ci ricordano che ciò che ci caratterizza come uomini è qualcosa di incredibilmente grande e sorprendente, e che questa grandezza è in ultima analisi ciò che ci differenzia da qualsiasi altro essere vivente. Ma quali caratteristiche fanno in qualche modo toccare con mano l’assoluta particolarità dell’uomo? Segni manifesti di questa realtà riverberano in alcune capacità intellettive tutte umane: uno di essi è il nucleo delle intuizioni alla base della geometria piana. Anche se la matematica si mostra come un’attività che compete unicamente all’uomo, un dubbio potrebbe ancora rimanere insoluto: che essa cioè sia nata in alcune fortunate culture e che altre non abbiano mai avuto -né mai li avranno- i mezzi per comprenderla. La matematica, insomma, è cosa per tutti?
Se è ragionevole attribuire il merito di conquiste intellettuali complesse in campo geometrico e matematico alla particolare tradizione che caratterizza certe popolazioni, un recente studio dimostra che anche le migliori tradizioni speculative hanno punto di partenza comune a tutti gli uomini, riscontrabili perciò in ogni cultura. Anche la più sperduta o isolata.
Una coppia di ricercatori del CNRS (il CNR Francese), Véronique Izard, del Laboratorio di Psicologia della Percezione dell’Università Descartes di Parigi, e Pierre Pica, dell’Unità Strutture Formali del Linguaggio dell’Università di Parigi 8, in collaborazione con Stanislas Dehaene, Professore al Collège de France, e con Elizabeth Spelke, Professore ad Harvard, entrambi vere e proprie autorità mondiali nel campo delle scienze cognitive, hanno intrapreso uno studio delle capacità nel campo della geometria fra popolazioni “evolute” e “non evolute”. I gruppi scelti erano due: da un lato 22 adulti e 13 bambini fra i 7 e i 13 anni della tribù Mundurucu dell’Amazzonia, e dall’altro 30 fra adulti e bambini francesi e americani; i primi non hanno mai studiato la geometria, anche se alcuni di loro sono andati a qualche tipo di scuola, mentre i secondi hanno ricevuto lezioni di geometria per diversi anni.
I ricercatori hanno somministrato due test a entrambi i gruppi: il primo era focalizzato su domande riguardanti le proprietà astratte delle rette, in particolare il loro carattere infinito e il parallelismo, mentre il secondo richiedeva di completare un triangolo indicando la posizione del suo vertice così come l’ampiezza dell’angolo al vertice.
L’introduzione di concetti di geometria fra i Mundurucu è stata realizzata chiedendo loro di immaginare due mondi, uno piano e uno sferico, sui quali erano fissati dei punti (dei villaggi) collegati da linee rette (sentieri). In seguito si è rivolta loro una serie di domande illustrate da alcune figure geometriche riportate sullo schermo di un computer.
Gli stessi temi sono stati affrontati però in ambiti differenti: in un ambiente “Euclideo”, cioè in geometria piana, e in uno “non Euclideo”, cioè posizionando gli oggetti su superfici curve, dove le rette parallele all’infinito si possono incontrare e gli angoli interni di un triangolo possono sommare più dei 180° dell’ambiente euclideo.
I Mundurucu si sono rivelati perfettamente in grado di risolvere i problemi di geometria piana. Per esempio, alla questione “esistono due rette che non si incontrano mai?”, la stragrande maggioranza ha correttamente risposto sì, mentre le risposte al secondo test hanno messo in evidenza il carattere intuitivo di una proprietà essenziale della geometria piana, e cioè che la somma degli angoli interni di un triangolo è costante e pari a 180°. Ma i “selvaggi” hanno dato prova sorprendente di saper meglio destreggiarsi rispetto al gruppo degli “evoluti” nella geometria non-euclidea. Il motivo è intuibile: la scuola dà maggior confidenza con l’ambiente euclideo, riducendo la capacità di familiarizzare più naturalmente con la geometria sferica.
I ricercatori hanno inoltre scoperto che i bambini Nordamericani fra i 5 e i 6 anni, non ancora studenti di geometria, hanno ottenuto risultati misti, segno del fatto che un certo grado di comprensione di nozioni geometriche inizia dopo i 6-7 anni.
Lo studio dunque arriva a stabilire che qualsiasi essere umano ha la capacità di comprendere la geometria euclidea, al di là del livello della cultura da cui proviene o dell’educazione ricevuta: chi ha ricevuto un livello minimo di formazione può comprendere nozioni sui punti e sul parallelismo delle rette, e queste sono intuizioni che, pur emergendo dopo i 6-7 anni di vita, potrebbero essere innate. Se invece derivassero dall’istruzione ricevuta fino al 6°-7° anno di vita, devono comunque basarsi su esperienze comuni a tutti gli esseri viventi.
Innate o no, proprio qui si inserisce la reale cifra della nostra grandezza: quella di riconoscere che ciò che è dimostrabile, stringente dal punto di vista logico, evidente dal punto di vista razionale, ha i tratti inconfondibili del vero. E’ il segno in noi della possibilità di conoscere, comprendere e perciò manipolare il mondo che ci circonda.