Un gruppo di studenti e genitori della Dowling Catholic High School a Des Moines, nell’Iowa (Usa), servendosi di Facebook ha organizzato una protesta contro la decisione dell’Istituto di non assumere stabilmente Tyler McCubbin, un popolare supplente della scuola, dopo aver scoperto attraverso i social media il suo orientamento sessuale. La questione è molto controversa: per i manifestanti si è trattato di discriminazione, per la direzione della scuola di conformità all’insegnamento della Chiesa.
E’ stata una protesta pacifica quella messa in atto nella scuola cattolica dell’Iowa: gli studenti hanno pregato nel cortile della scuola tutti insieme, tenendosi per mano ed esponendo cartelli con le parole di Papa Francesco “Chi sono io per giudicare?”.
Studenti e genitori hanno protestato perché ritengono che valga di più il legame con l’insegnante che non la sua moralità, mentre i mezzi di comunicazione hanno usato il caso della Dowling Catholic High School per mostrare che essere cattolico significa essere intollerante e incapace di accettare chi è diverso, aggiungendo che con Papa Francesco fatti come quello del liceo di Des Moines non dovrebbero più accadere.
La questione che si è scatenata intorno al professor McCubbin, messa in questi termini, nasconde in realtà il cuore del problema. Essa non è certo la reazione ideologica tipica di un certo laicismo anticattolico, sempre alla ricerca di supposte incoerenze per poter dimostrare che essere cattolici non è mai essere moderni. La vera questione interessante è la divisione tra affezione e valore, tanto che a livello educativo gli utenti di una scuola che si poggia su una scelta ideale ritengono inincidente che il prof. McCubbin sia omosessuale: più importante e decisivo sarebbe accoglierlo.
E’ una questione delicata quella che viene dall’Iowa e bisogna avere il coraggio di andare alla radice della questione: chi protesta risolve la questione a livello affettivo — il prof. McCubbin è un insegnante che gode la stima di studenti e genitori —, mentre la direzione della scuola, anche se poi ha fatto marcia indietro, ha più volte ribadito che non si può accettare un insegnante che sia esplicitamente gay, perché l’educazione cristiana poggia sul principio del matrimonio tra uomo e donna.
Entrambe posizioni chiare e lineari, ma carenti, perché mancano di un fattore che è decisivo in una scuola, e cioè che insegnare è un’esperienza cui concorrono affetto e ragione.
Quanto accaduto nella Dowling Catholic High School a Des Moines è l’anticipazione di quello che accadrà nei prossimi anni dentro il mondo della scuola in generale, non solo dentro la scuola cattolica e non solo con riguardo ai docenti. E questo perché il cambiamento dei legami affettivi cui stiamo assistendo, con tutti i riconoscimenti giuridici che sta ottenendo, porterà dentro il mondo della scuola, a tutti i livelli, una sostanziale incertezza affettiva, rendendo normale la divisione tra affetto e verità, tra cuore e ragione, per cui il caso McCobbin è solo la punta estrema di una situazione che da tempo lacera l’educazione.
Dentro questo attacco agli affetti a trecentosessanta gradi bisogna ripartire dal soggetto a trecentosessanta gradi, bisogna ripartire dal cuore, riprendere a costruire quel punto unitario che fa della persona il valore che viene prima e che può emergere e maturare anche dentro queste laceranti e dure contraddizioni. È un momento decisivo per la scuola. Ad ogni livello si dovrà decidere se condurre una lotta sui valori, sia a livello cattolico sia a livello laico, oppure se costruire l’umano.
Il problema allora non è se il prof. McCubbin possa insegnare, ma che cosa insegni; mentre la lotta ideologica scatenata dall’una e dall’altra parte appositamente lascia in ombra il punto chiave, il fatto che un ragazzo o una ragazza di oggi ha bisogno di una persona unita, di quella coerenza ideale di cui parla don Luigi Giussani nel Rischio educativo.
Certo, come ha detto Papa Francesco, chi sono io per giudicare? Il che però non esime affatto chi insegna dall’interrogare innanzitutto se stesso, chiedendosi che cosa significhi per lui insegnare e chi sia lui per insegnare. Che egli si ponga esplicitamente questa domanda è molto più importante di tanto scontro ideologico, dove ognuno dal suo punto di vista ha ragione, ma di fatto senza entrare dentro la realtà.
Il problema non è se il prof. McCubbin sia gay oppure no, ma che cosa sia per lui insegnare e se insegnare implichi un impegno educativo. Di questo però non si parla, come spesso accade, e così si perde l’ennesima occasione di andare al cuore dell’educazione.