La tesi centrale de Oltre il multiculturalismo è che il termine “multiculturalismo”, diffusosi in Occidente a partire dagli anni ‘60 per indicare il rispetto, la tolleranza e la difesa delle minoranze culturali, sia approdato ad un’ideologia che ha provocato effetti negativi a cui va posto rimedio. Multiculturalismo è diventato sinonimo di un immaginario collettivo (“tutti differenti, tutti uguali”) che produce paradossi e paralisi quando le diverse culture debbono confrontarsi fra loro e deliberare intorno alla sfera comune. Esso si presenta come l’ultima versione di un concetto assai vago di laicità, che mette ogni cultura sullo stesso piano e per tale motivo evita di parlare di “verità” nella sfera pubblica, perché si suppone che ogni individuo sia portatore di una sua verità e che le diverse affermazioni di verità non siano confrontabili fra loro. Il multiculturalismo è così diventato una dottrina politica che, mentre afferma di propugnare una cittadinanza “inclusiva” nei confronti delle culture “diverse”, di fatto semplicemente le accosta l’una all’altra senza produrre alcuna reale relazionalità, da cui dipende un autentico riconoscimento.
Dopo essere stato adottato come politica ufficiale in vari Paesi, il multiculturalismo ha creato frammentazione della società, separatezza delle minoranze, relativismo culturale nella sfera pubblica. Come dottrina politica appare sempre più difficile da praticare, perché legittima comportamenti che arrivano a violare valori e principi fondamentali di convivenza politica e civile. Al suo posto si parla oggi di interculturalità. Ma anche questa espressione appare piuttosto vaga e incerta. Il libro discute quali siano le possibili alternative al multiculturalismo e si chiede se la via dell’interculturalità sia una soluzione. La tesi dell’Autore è che la teoria della interculturalità ha il vantaggio di mettere l’accento sull’inter, ossia fra ciò che sta fra le culture, ma non possiede ancora gli strumenti concettuali e operativi per comprendere e gestire i problemi della sfera pubblica quando le diverse culture esprimono dei valori radicalmente conflittuali fra di loro.
Le difficoltà dell’interculturalità derivano da due carenze: (1) un’insufficiente riflessività interna alle singole culture (esse sono costrette a mettersi in discussione, ma reagiscono il più delle volte senza un’adeguata capacità auto-riflessiva); (2) la mancanza di un’interfaccia relazionale fra le culture (fra i soggetti che ne sono portatori), tale da renderle capaci di gestire le differenze in modo da evitare la guerra reciproca o la separazione senza dialogo. La Ragione occidentale di origine illuministica ha creato un assetto societario (lib-lab) che non promuove né l’una né l’altra. Anzi le neutralizza, perché affronta i dilemmi di valore inerenti alle differenze culturali mediante criteri di indifferenza etica. Tali criteri azzerano la riflessività e impediscono agli individui di comprendere le ragioni profonde dell’esperienza vitale degli altri. La Ragione umana viene svuotata dei suoi contenuti di senso e di capacità comprendente. Diventa puramente funzionale e materialistica (si vedano i Millennium Goals). Per andare oltre i fallimenti del multiculturalismo e le fragilità del discorso interculturale, occorre un approccio laico al problema della convivenza fra culture che sia capace di ridare vigore alla Ragione attraverso una nuova semantica della differenza inter-umana. Il libro analizza le attuali semantiche della differenza culturale (quelle dialogiche e quelle binarie) e osserva che esse sono del tutto inadeguate ad affrontare i problemi di cui si parla. Pertanto propone una nuova semantica del riconoscimento, che chiama semantica relazionale, la quale si basa sullo sviluppo della ragione relazionale, oltre le forme già conosciute di razionalità. Rendere relazionale la ragione può essere la via maestra per immaginare una nuova configurazione della società che sia in grado di umanizzare i processi di globalizzazione e le crescenti migrazioni. La società dopo(after)-moderna sarà più o meno umana a seconda del modo e del grado in cui riuscirà ad espandere la Ragione umana articolandola all’interno di una nuova ”unità relazionale” con la fede religiosa, che risulta sempre più decisiva nella sfera pubblica.