Il presente contributo si propone di replicare, in un confronto costruttivo, all’articolo di Gianluca Zappa pubblicato il 9 settembre. Zappa, da professore di lettere di liceo, individua i numerosi limiti dell’alternanza scuola-lavoro, resa obbligatoria dalla legge 107/2015.
Le critiche del prof. Zappa si poggiano su diversi argomenti: l’alternanza è un’idea vecchia in Europa, che l’Italia introduce in ritardo. Ci sono poi i problemi di applicazione: c’è una direttiva del ministero centralista che non tiene conto della realtà, “fatta apposta per creare problemi a chi lavora nella scuola e a chi la frequenta” e che obbliga a rivedere le programmazioni già fatte dai docenti. Viene inoltre rilevata la difficoltà nel trovare le aziende, le quali, per altro, non avrebbero motivazioni ad accogliere gli studenti e addirittura pagarli.
Infine, l’alternanza sarebbe un onere aggiuntivo per gli studenti, i quali “oltre il tempo da dedicare allo studio, devono trovare il tempo da dare allo Stato per le sue fumose trovate”.
Come spesso accade, ogni intervento che introduce modifiche al percorso scolastico rischia di essere vissuto dai docenti come un’ingerenza nel loro lavoro e quindi produrre insofferenza e resistenza.
Le critiche illustrate sono comprensibili, anche alla luce delle modalità, spesso burocratiche, con le quali il ministero traduce in operatività le novità legislative, come appunto le 96 pagine della “Guida operativa” che avrebbe dovuto aiutare i docenti nella costruzione dei percorsi di alternanza.
Tuttavia, le difficoltà attuative e l’approccio ministeriale non dovrebbero tradursi in una chiusura verso questa modalità di apprendimento finalizzata a rafforzare il rapporto tra sistema educativo e mondo del lavoro. Sottovalutare o contrastare in generale l’alternanza scuola-lavoro è sintomo di un’idea di scuola turris eburnea, separata dal mondo.
Al contrario, proprio i dati sulla disoccupazione giovanile (pari a circa il 40%) dovrebbero averci ormai convinto della necessità di una scuola sempre più connessa al tessuto produttivo.
Il confronto con la situazione degli altri Paesi dell’area Ocse mostra come laddove il sistema educativo sia fortemente connesso al mondo del lavoro, la disoccupazione giovanile si attesti a livelli non distanti dal tasso di disoccupazione generale. Al contrario, l’Italia mostra un tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 ed i 24 anni che è circa 3,5 volte il tasso di disoccupazione generale, a causa anche di un sistema scolastico molto centrato sull’apprendimento teorico, poco correlato alle dinamiche del mondo del lavoro, che li porta ad avere difficoltà nella transizione dalla scuola al lavoro. Non si tratta solo di preparazione tecnica e professionale distante dalle esigenze delle imprese, ma anche di mancanza di soft skill, come la capacità di saper lavorare in un gruppo, l’orientamento al raggiungimento di un risultato, l’attitudine a mostrare interesse e curiosità verso le nuove opportunità.
Negli ultimi anni sono stati realizzati importanti passi avanti per una alleanza tra sistema educativo e mondo del lavoro, sollecitati anche dalle istituzioni europee e nazionali, superando una storica diffidenza e separazione tra l’apprendimento puro e quello orientato al lavoro, tra teoria e prassi, tra cultura e lavoro.
Introdotta già come possibilità dalla Riforma Moratti, i problemi dalla concreta realizzazione dell’alternanza sono sorti con l’anno scolastico appena concluso in cui da mera possibilità è divenuta obbligo. Così, vissuta come ennesimo adempimento da compiere in forza di una legge calata dall’alto e della quale si contestano gli obiettivi, soprattutto quelli formativi, oggi assistiamo ad affannose ricerche di tirocini curricolari in azienda, con la conseguenza che le imprese sono prese d’assalto e aumenta la difficoltà nel raggiungere lo scopo. Oppure, al desolatamente vuoto registro delle imprese che aderiscono all’alternanza tenuto presso le Camere di Commercio e al silenzio del Miur di fronte al crescente malcontento, si fa fronte di fatto eludendo l’obbligo, come nel caso in cui l’alternanza si sostanzia in qualche ora di lezione teorica sulla cultura di impresa. In questo modo l’adempimento è compiuto, ma l’alternanza è svuotata della sua finalità formativa per diventare mero esercizio.
Una possibile direzione diversa da quella dell’adempimento, quella del compimento, è invece possibile: attraverso un migliore rapporto tra scuola e contesto territoriale, valorizzando l’autonomia scolastica.
La progettazione dell’alternanza ha uno spazio di libertà ampio e pluriennale. Non serve affanno ma una ben strutturata programmazione, sebbene lo scorso anno scolastico non sia stata possibile.
Si deve tuttavia partire con il coraggio di considerare l’apprendimento fuori dalle mura scolastiche come potenzialmente equivalente a quello che si svolge al suo interno, benché con modalità differenti. L’apprendimento in situazione, infatti, può essere anche più produttivo di un apprendimento teorico. Per fare ciò si possono attivare differenti interventi, oltre ai tirocini, tutti validi ai fini del raggiungimento del monte ore di alternanza: dagli incontri con esperti, a visite aziendali, ricerca sul campo, simulazione di impresa, project work, progetti di imprenditorialità e così via.
Quindi, per rispondere ad alcune sollecitazioni del prof. Zappa, sì, anche le attività realizzate con le associazioni od altri soggetti del terzo settore sono possibili e riconosciute ai fini dell’alternanza, così come ricerche sul campo realizzate in collaborazione con soggetti pubblici e privati.
Infatti, lo scopo non è quello di portare gli studenti a faticare al lavoro, di renderli più facilmente sfruttabili dalle aziende come manodopera a basso costo, o nullo, ma di riconoscere nelle imprese, nelle organizzazioni pubbliche e del privato sociale un bacino culturale che non è distante rispetto agli obiettivi di apprendimento dei giovani, ma al contrario, rappresenta un potenziale alleato della scuola.
E’ chiaro che serve un’esperienza ed un confronto di progettazione, per individuare, in modo personalizzato, quelle competenze, conoscenze ed abilità che possono essere raggiunte attraverso l’alternanza nelle sue varie forme, partendo però dalla consapevolezza — ed è qui la vera sfida culturale del nostro sistema educativo — di riconoscere che non si apprende solo nel contesto scolastico e che esistono diverse modalità per acquisire competenze che non siano solo nozioni.
I numerosi esempi positivi di rapporto tra scuole e imprese rappresentano la cifra di come spesso sia solo un pregiudizio quello per cui le aziende non sarebbero interessate ad accogliere studenti in alternanza. L’impresa ha molti motivi per coinvolgersi nel rapporto con la scuola.
Il confronto con la scuola può portare giovani più pronti ad entrare un domani in impresa, le occasioni di confronto con la scuola possono arricchire la stessa azienda. Collaborare con le istituzioni scolastiche può migliorare l’immagine dell’azienda sul territorio e dare il proprio contributo di idee e dedicare tempo alla scuola e alla formazione dei giovani è un modo utile e concreto di interpretare la responsabilità sociale dell’impresa. Per completezza di informazioni, rispetto all’onere delle imprese per il pagamento dei tirocinanti, è bene chiarire che il tirocinio curricolare non comporta a carico dell’azienda nessun obbligo di corrispondere un compenso allo studente.
In uno spirito costruttivo, ciò che chiederei al ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, in tale contesto, è un rafforzamento dell’autonomia scolastica.
Uno dei maggiori scogli alla personalizzazione del curriculum è la struttura dell’esame finale: centralizzato, basato in larga parte sulla verifica di conoscenze e sui “programmi di studio”, in qualche modo in contraddizione con la valorizzazione dell’autonomia dei docenti nel programmare l’attività didattica sulla base di curricula contenuti nelle “indicazioni nazionali”, meno rigide dei vecchi “programmi”.
E’ quindi auspicabile che la maggior libertà della scuola si rafforzi anche attraverso la riforma dell’esame di Stato prevista dalla legge 107/2015 che valorizzi, come afferma ancora la legge 107, il “curricolo dello studente” e quindi anche le modalità di raggiungimento di quote del “programma” attraverso forme di alternanza scuola-lavoro.
Per altro l’esame di Stato centralistico continua a dimostrare la sua incapacità di rappresentare un metro di giudizio unitario per tutto il Paese (si vedano le puntuali analisi di ogni anno sulla diversa modalità di attribuzione dei giudizi da nord a sud del Paese).
Una maggiore libertà di programmazione e la valorizzazione dell’autonomia scolastica potranno rendere più efficaci anche le iniziative di alternanza scuola-lavoro, come attività di apprendimento compiuto realizzate all’esterno della scuola.
Molte sono le energie oggi in campo che stanno realizzando con successo diverse iniziative.
Si tratta di raccogliere le buone prassi, di portarle a sistema, di diffondere le diverse esperienze attraverso un lavoro di condivisione e collaborazione a livello territoriale, coinvolgendo anche altri stakeholder quali le associazioni di imprese, i sindacati, gli enti locali, i centri per l’impiego, le agenzie per il lavoro e gli altri soggetti accreditati al lavoro, ma anche i centri di formazione professionale che realizzano da anni la propria attività mettendo al centro il rapporto con l’impresa e l’alternanza scuola lavoro.
Già oggi le molte esperienze positive meriterebbero di essere conosciute e valorizzate, e le loro progettualità condivise e trasferite.
E’ comprensibile che l’obbligatorietà dell’alternanza scuola-lavoro possa essere sentita come un onere ulteriore da parte dei docenti, soprattutto in fase di prima attuazione. La sensazione, tuttavia, è che in larga parte di stia diffondendo all’interno della scuola una visione dell’impresa quale bacino culturale, luogo di apprendimento, che può aiutare a scoprire il gusto di conoscere, di formarsi un pensiero operante, dove il sapere e il saper fare possano produrre effetti sinergici per migliorare il proprio percorso professionale e di vita. Possiamo dire che oggi sta maturando una svolta culturale che sta producendo cambiamenti didattici ed organizzativi. Molto dipenderà anche dalla capacità dei docenti di saper affrontare un cambiamento che certamente non è semplice da gestire ma possibile, come dimostrano le esperienze realizzate.