Non esistono bambini cattivi, ma solo bambini incattiviti. Lo stesso vale per i ragazzi.
Sembra saperlo bene Andrea Ferrara, autore di Ero cattivo, in libreria per San Paolo Ragazzi. Almeno è quello che ci testimonia col suo bel romanzo per giovani, che viene letto con piacere anche dagli adulti.
Il protagonista, il tredicenne Angelo (nomen omen?), infatti si pensa cattivo, prima ancora di esserlo; e così per l’ennesima malefatta, ma questa volta dalle conseguenze assai più gravi del previsto, viene spedito direttamente dal collegio in una piccola comunità di accoglienza per ragazzi con disagio. I suoi, d’altronde, non lo vogliono più, hanno deciso di ignorarne persino l’esistenza. Una comunità strana quella in cui finisce Angelo, retta solo da un prete coadiuvato da una signora – ufficialmente cuoca, ma assai di più nell’economia della comunità – dove altri quattro ragazzi cercano la propria strada in loro compagnia.
Nel romanzo risulta centrale e decisiva la figura di Padre Costantino, nonostante in qualche passo il suo personaggio diventi appunto personaggio, perda un pochino di spessore per assumere un sapore troppo buonista, con un eccesso di tolleranza nei confronti di ciò che, storto, accade. Tuttavia brilla davvero per la sua capacità di guardare ai ragazzi non solo per come si presentano e si mostrano, ma per ciò che possono essere; ben riuscita al riguardo la sua competenza di ritrattista, giocata in modo molto particolare: i ritratti che in continuazione esegue dei ragazzi infatti non rappresentano mai l’oggi, ma sempre il loro domani più o meno vicino, ma soprattutto possibile. Egli è in grado di scorgere nel ragazzo l’uomo che verrà, ma senza proiettarlo in una linea retta che ne amplifichi le malefatte, come tendono a fare in molti; è capace piuttosto di pensare a svolte nelle loro strade che portino a qualcosa di nuovo e al momento imprevedibile, se non forse incredibile. Non ci credono, infatti, gli insegnanti delle scuole, né gli assistenti sociali, ma lui sì. E con lui i ragazzi stessi; pian piano, nel tempo.
Di questo prete affascina il fatto che viva di una certezza: che è sempre possibile una ripresa del soggetto. Lasciamolo dire ad Angelo con le sue parole: “E pensavo che mi piaceva come parlava, il prete. E mi piaceva che scegliesse con cura le parole. Avevo notato che diceva sempre quando e non diceva mai se. Non ti diceva, per esempio, se riuscirai a essere promosso, vedrai che…, ma quando sarai promosso, vedrai che…, non diceva se imparerai a comportarti bene, allora… ma ti diceva: quando imparerai a comportarti bene, allora… Questo ti faceva sentire forte, capace, quasi imbattibile. Ed era una cosa veramente strana, questa, e bella, perché era una tenerezza, certo, ma ti induriva”.
Dire quando, e non se, documenta la certezza nel futuro, libera anche dall’esito del proprio operato; il quando, indefinito al momento, potrà infatti accadere anche in seguito ad altri incontri imprevisti.
Ero cattivo, così recita il titolo e l’efficace incipit. Che momento quando un ragazzo così riesce a passare all’imperfetto. Sarà il momento della riscoperta di altre, e migliori, definizioni di sé. Perché, dobbiamo crederlo, una ripresa accade sempre quando si fanno buoni incontri e il soggetto è disposto a compromettersi con essi. Quando, e non se.