È innegabile che oggi, sia nella vita quotidiana che nello scenario nazionale o internazionale, respiriamo tutti un clima di disagio.
Molteplici possono essere le cause, ma c’è un segnale sintomatico quasi impercettibile, ma altrettanto infallibile: lo sguardo che ognuno di noi pone sulla realtà, siano eventi o persone.
Perché lo sguardo può essere limpido, trasparente, profondo, ma anche obliquo, falso o mistificatore rispetto all’oggetto guardato; e soprattutto può essere irrispettoso della dignità che ogni essere umano possiede, per quanto abietto possa essere. A questo proposito, se pur incidentalmente, mi tornano alla memoria le parole che Dostoevskij, in Delitto e castigo, pone sulle labbra di Marmeladov, eco commovente del detto evangelico: I pubblicani e le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli.
Ma la questione mi ha condotto ad un’altra fonte letteraria di straordinaria vivacità, per non dire rocambolesca nelle molteplici e svariate avventure del protagonista: il Peer Gynt di Ibsen.
L’opera teatrale del drammaturgo norvegese ruota intorno ad un personaggio mitico-fantastico della tradizione popolare, che sembra obbedire solo al suo istinto, al suo capriccio, ad una fantasia che insegue sogni di grandezza, ai quali dà connotati reali.
Nel secondo atto, Peer incontra i «trold», gnomi nordici, nell’ambito dei quali viene a trovarsi, come pretendente della «donna vestita di verde», figlia del vecchio re di Dovre, e dei quali deve assumere lo stile di vita, ben sintetizzato dal motto: «Ti basti essere come sei», che rimanda, per antitesi, all’imperativo classico «Sii te stesso».
Sono varie le fasi della iniziazione senza ritorno e di queste una è, a mio parere, descritta in modo accattivante. Durante il ballo nella sala reale di trold, coboldi e spiriti della montagna, a Peer viene chiesto: «Che cosa vedi?» e Peer risponde: «Cose brutte da far paura. Una vacca col sonaglio pizzica certe corde di budella, e una troia in calzoncini corti va attorno sgambettando».
Ma a danzare sarebbe la donna vestita di verde … Allora il vecchio di Dovre così interviene: «Com’è bizzarra la natura umana! Resta tenacemente attaccata per lunghissimo tempo. Lottando con noi viene un po’ scalfita, ma cicatrizza e guarisce ben presto. Mio genero è docile come pochi, di buon grado ha bevuto l’idromele, s’è lasciato mettere la coda al sedere … così compiacente, insomma, alle nostre richieste che pensavo davvero che il vecchio Adamo fosse stato scacciato una volta per tutte: ed ecco che ad un tratto rispunta fuori. Eh sì caro figlio, bisogna guarirti di questa cocciuta natura umana»; e a Peer che domanda: «E che cosa farai?» replica: «Ti graffierò l’occhio sinistro, appena un pochino; diventerai strabico, ma tutto apparirà nobile e bello. … Allora la sposa ti apparirà bellissima e la tua vista non sarà mai più offesa da troie sgambettanti e vacche col sonaglio».«Ma questa è pazzia!» … «Pensa di quanti crucci e fastidi ti puoi liberare una volta per sempre. E ricordati che la vista è la sorgente delle lacrime, un ramo che macera e che corrode!»
Qui l’operazione della favola, ma qui anche la metafora, magari letta all’inverso, e comunque fallace: basta una «correzione» allo sguardo e vedi quel che vuoi vedere, non ciò che c’è!
Epilogo: sarà questa la sorte di Peer Gynt? Finire prigioniero della sua malata soggettività? Certamente egli è l’emblema dell’uomo moderno, il cui io si è frantumato, ma è anche un uomo alla ricerca del suo io vero, autentico; – mirabile, in tal senso, la scena in cui sbuccia la cipolla, per trovare nel cuore la soluzione dell’enigma – .
Finalmente alla sua domanda:«Di’ dunque ciò che sai. Dov’ero? Dov’era il mio io vero, intero? Dov’ero col segno di Dio impresso in fronte?».
Una donna risponderà, la bionda fanciulla che «Con gli occhi bassi si guardava le scarpette e il grembiule bianco …! E si teneva stretta alla gonna di sua madre, e portava un libro di preghiere avvolto in un fazzoletto ….!» e che lo ha amato e atteso tutta la vita dalle sue infinite peregrinazioni, Solvejg, che al termine del dramma dirà: «Nella mia fede, nella mia speranza e nel mio amore».
Come sempre è un tu che custodisce la vita.
(Maria Rita Casalboni)