Tre recenti occasioni (le due audizioni presso le Commissioni VII di Camera e Senato, nonché l’incontro con il tavolo delle associazioni professionali dei docenti) hanno offerto al ministro Profumo l’opportunità di illustrare in maniera organica le linee del proprio programma di governo, fino ad ora anticipate in articoli e interviste in maniera frammentaria. A questo punto, si può dire, la rotta è disegnata: si tratta di discuterla con gli interlocutori adeguati e di realizzarla. Quali i capisaldi? L’azione del ministro si inquadra in un piano strategico che si ispira alla volontà di “affrontare problemi di grande rilevanza sociale, quali la riduzione delle emissioni attraverso le tecnologie pulite, le infrastrutture intelligenti per la mobilità, la realizzazione di modelli urbani e di abitazione più sostenibili, una sanità più efficiente, un welfare equo e tecnologico per la società che invecchia e per le persone in condizioni di disagio”.
Il modello di riferimento è quello europeo delle “Smart Cities” o città intelligenti, in cui i servizi di cui si avvalgono i cittadini e le imprese sono integrati dalle più avanzate tecnologie, in modo da aumentare la qualità delle prestazioni e ridurre al minimo l’impatto ambientale (avete presente la città di Washington nel film Minority Report in cui si previene il crimine? Ecco, qualcosa di simile!). Essendo le città intelligenti un insieme di tecnologie, modelli di inclusione e regole di relazione tra pubblico e privato, la scuola e l’università sono dei tasselli tra i tanti (enti di ricerca, imprese, amministrazioni), cui è consegnato il compito di esercitare un’azione corrispondente allo scopo loro assegnato dal sistema integrato.
All’università il ministro affida soprattutto il compito della ricerca (da qui, per esempio, gli obiettivi della riforma dei dottorati di ricerca e del miglioramento della partecipazione italiana ai programmi europei, come Horizon 2000). Il settore istruzione, nell’ottica del ministro, risente indubbiamente del condizionamento di quel prototipo che è diventato il Politecnico di Torino sotto la sua gestione (un luogo di cultura aperto alla città, ha detto il ministro con un evidente orgoglio durante l’incontro con le associazioni dei docenti).
E come le università sono state trasformate in istituzioni autonome, così la scuola dovrebbe essere immessa in un analogo percorso fatto di protagonismo e dialogo con il territorio, e anche di adeguamento agli obiettivi europei. Per realizzare tali propositi, il ministro si prefigge di recuperare i fondi europei non utilizzati, in questo concorde con l’azione dell’intero governo, per convertirli in istruzione, ricerca, innalzamento della qualità dell’offerta formativa. Come ha spiegato nei suoi interventi, l’Italia soffre di una ridotta capacità di accesso e sfruttamento dei fondi messi a disposizione dall’Unione europea per la ricerca.
Sul VII Programma Quadro, a fronte di un contributo totale dell’Italia al finanziamento del programma pari circa al 14%, lo sfruttamento degli stessi è stato solo pari all’8% circa. Sul fronte delle politiche di coesione, le percentuali di utilizzo dei fondi strutturali vedono l’Italia al penultimo posto, davanti alla Romania, con situazioni particolarmente critiche nelle Regioni della convergenza. Sullo sfondo, dunque, è collocato il riallineamento all’Europa che dovrebbe determinare un incremento dell’innovazione e della modernizzazione tecnologica in tutti i settori che fanno capo al Miur, che dovrà farsi carico, nelle intenzioni del ministro Profumo, anche della digitalizzazione della Funzione Pubblica.
Nello specifico della scuola, le parole d’ordine sono “semplificazione della complessità” e “autonomia responsabile”. Al sistema educativo è affidato il compito di ridurre le disuguaglianze e di tornare ad essere un ascensore sociale. Le priorità strategiche dell’azione di Viale Trastevere sono così elencate: a) rafforzare le competenze di base dei giovani; b) valorizzare la professionalità dei docenti; c) valorizzare l’apprendimento in una pluralità di contesti; d) far dialogare i sistemi di istruzione, formazione e lavoro per il rilancio della cultura tecnica e scientifica e il sostegno all’occupazione; e) promuovere e sostenere l’innovazione digitale nella scuola.
Nell’incontro con le associazioni professionali è stata particolarmente sottolineata la “rifondazione” dell’identità degli istituti scolastici in senso autonomistico: autonomia responsabile, cioè non solo didattica, ma anche e soprattutto gestionale e finanziaria (“trasferiamo le risorse alle scuole in modo che possano gestire una parte dell’organico”). Il nodo dell’autonomia oltre che dall’organico funzionale è poi ulteriormente dettagliato con il ricorso ai temi del reclutamento, della mobilità, della revisione del regolamento di contabilità delle scuole. Si tratta di punti di capitale importanza perché il Dpr 275/99 (autonomia delle istituzioni scolastiche) consegnava alle scuole un meccanismo monco che ora potrebbe essere completato mediante la trasformazione delle scuole in fondazioni, dotate di uno statuto proprio e di una governance capace di coordinare situazioni ricche e complesse. Passaggi rilevanti del piano programmatico sono dedicati all’edilizia scolastica, da mettere in sicurezza, e alla creazione di nuovi edifici scolastici vivibili, il più possibile adatti a classi di alunni che possono smembrarsi e ricomporsi a seconda del percorso e dell’insegnamento che viene loro offerto.
Fin qui, in estrema sintesi, il disegno che si ispira ad una sorta di riformismo illuminato, imbevuto di tecnologia (vedi il progetto “Scuola in chiaro”) e di costituzionalismo (nuovi edifici scolastici – ha promesso il ministro – per nuovi cittadini). Che dire? Il progetto, che tecnicamente può anche riuscire a piacere, soprattutto se i fondi disponibili o riprogrammati sono ben utilizzati (v’è grande aspettativa, per esempio, per le azioni rese possibili dal miliardo di euro di fondi strutturali messi a disposizione per la scuola del Sud), dovrà avere delle gambe sulle quali camminare. In questo senso il principio di sussidiarietà, anch’esso spesso citato dai sacri testi europei, indica che l’ente superiore è al servizio di ciò che si verifica nella società, in forma comunitaria o associativa.
La scuola e l’ambito dell’istruzione in generale sono luoghi in cui i desideri originari delle persone (di conoscenza, di relazione, di identità, ecc.) sono accolti e compresi se vissuti dentro relazioni significative che introducono nella realtà, la quale in ultima istanza è lo scopo dei percorsi di insegnamento/apprendimento. Esperienze vive di scuola attiva e di compagnie educative già esistono; così come esistono giovani insegnanti ansiosi di entrare a pieno titolo nel merito della comunicazione formativa e didattica; per non parlare dei docenti che da anni seguono in rete percorsi di qualificazione culturale. Bisognerà che i nuovi spazi che vengono realizzati e conquistati si pieghino a questa preoccupazione, onde evitare che le aule del futuro siano virtuali perché, purtroppo, sono diventate virtuali anche le persone che dovrebbero viverci.