A distanza di venti anni dalla morte di Hans Urs von Balthasar la sua figura e la sua opera, nonostante la quantità impressionante di monografie e di studi a lui dedicati, non si staglia ancora nei suoi contorni precisi e sufficientemente definiti. È come quando ci si trova dinanzi ad una montagna di proporzioni maestose e per guadagnare un punto d’osservazione che consenta la visione d’insieme del suo profilo è necessario distanziarsi per lungo tratto da essa. Anche a coloro che, per conoscerla meglio, si sono piuttosto avvicinati ad essa ed hanno iniziato ad inerpicarsi verso la sua vetta, quel che in un primo momento sembrava costituire un punto di raggiungimento, si è invece rivelato come un altipiano dal quale procedere ancora verso una ulteriore elevatezza.
Ciò è risultato chiaro nel 2005, centenario della sua nascita, quando in diversi continenti studiosi di lingue culture le più diverse, si sono ritrovati insieme per confrontare le loro rispettive comprensioni e le diverse ermeneutiche elaborate in lunghi anni di studio e di cimento. Anche quando le visuali e le prospettive risultavano ben calibrate e convincenti, tuttavia non apparivano mai come capaci di un abbraccio esaustivo, né di una libertà di prosecuzione reale dell’opera e dell’autore. È questo un segnale indicativo perché la vera comprensione si dimostra non tanto nella capacità di esegesi letterale stretta e chiusa, quanto nella apertura d’animo che attesta un respiro ampio dello spirito in una figliolanza che, come ogni vera figliolanza, non ha mai nulla di pedissequo.
È del tutto normale che vent’anni non siano bastati. Balthasar è infatti un uomo che nel XX secolo ha condensato in sé una vastità e una profondità di conoscenze che solo l’aggettivo “cattolico”, a lui così caro, può esprimere. Mentre ad un singolo studioso il tempo della vita spesso è necessario per impadronirsi in maniera specialistica di un settore di un ambito del sapere umano, Balthasar ha raggiunto una erudizione straordinaria in diversi settori, dalla linguistica alla musicologia, dall’esegesi alla patristica, dalla filosofia alla letteratura, senza però fare dell’erudizione il fine del suo lavoro, anzi nascondendola sistematicamente. Il suo fine non era quello di sviluppare un pensiero originale in un punto o in un altro, quanto quello di esprimere cattolicamente quel che da ognuno può essere riconosciuto. Similmente ad Origene, autore nel quale si trovava «a casa sua», che nessuno più citava espressamente, ma al quale tutti facevano diretto o indiretto riferimento per l’ampiezza e l’evidenza del suo apporto. Egli mirava a questa presenza nascosta, quasi sotterranea, nella quale non conta, come diceva già Tommaso d’Aquino, quel che gli uomini hanno percepito, ma in che modo si possa pervenire alla verità delle cose.
Da quest’ultimo punto di vista, se un bilancio teoretico o una recensione sul conflitto delle interpretazioni non arriverebbe ad un saldo troppo preciso, il fatto che attorno alla sua persona e alla sua opera si sia venuta straordinariamente a creare una vera e propria “scuola” di proporzioni mondiali, favorita anche dalla rivista “Communio” presente in tutti i continenti, può già oggi essere guardato come un frutto maturo e insolito del dono che Balthasar ha fatto dedicando la sua vita al servizio della Chiesa.
Che cosa ne sarà di questa scuola planetaria è difficile prevedere, anche perché è un costrutto che non ha caratteristiche soprattutto istituzionali, ma piuttosto di pensiero e di fede. Quel che è certo è che esso rappresenta un unicum.
Balthasar in vita non ha creato nessun movimento ecclesiale, benché concludesse sempre le sue conferenze additando i movimenti ecclesiali quale speranza di futuro per la Chiesa in Europa e nel mondo. Non si può certo dire che i giovani e i meno giovani che a diverse latitudini fanno riferimento alla sua immensa opera vengano oggi a rappresentare una sorta di nuovo movimento ecclesiale, ma certamente sono accomunati da un modo d’essere cristiani e non solo da una determinata intellettualità. Come ogni grande e vero maestro, Balthasar ha mostrato un modo d’essere, che non coincide semplicemente con la sua opera scritta. La sfida dei prossimi vent’anni, a questo riguardo, si giocherà sulla assunzione creativa di questo insegnamento non scritto sulla carta, più che non nella codificazione della “lettera”. La lettera, infatti, notoriamente uccide.