«Moby Dick è senza dubbio un’opera fondamentale per la letteratura non solo americana, ma mondiale. Herman Melville è stato in grado di trovare un prezioso equilibrio tra il resoconto realistico delle sue esperienze marinare e una simbologia e allegoria che permette di leggere il libro su vari livelli, come tutte le grandi opere». Insieme a Vita Fortunati, docente di letteratura angloamericana presso l’Università di Bologna, ripercorriamo la più celebre opera di Herman Melville, odierno protagonista del logo di Google. Esattamente 161 anni fa, infatti, precisamente il 18 ottobre 1851, lo scrittore, poeta e critico letterario statunitense pubblicava il suo capolavoro, Moby Dick. «Da una parte – continua a spiegare la Fortunati – vi è una descrizione spesso minuziosa dei tanti dettagli e delle sfaccettature dei personaggi, dall’altra vi è invece questa capacità di far assurgere a grande mito la lotta del capitano Achab con la balena: Moby Dick è una balena mitica, ma mantiene una sua straordinaria concretezza poetica». Il romanzo narra infatti le avventure marinare del Capitano Ishmael Achab, assetato di vendetta nei confronti dell’eburneo cetaceo, colpevole di avergli mozzato una gamba (l’odio era così profondo che “se il suo petto fosse stato un cannone, gli avrebbe sparato il cuore”, recita un passaggio). Il volume è stato tradotto per la prima volta in italiano nel 1932 da Cesare Pavese il quale, nella prefazione del libro “Racconti di mare e di costa” di Joseph Conrad, definisce il mare descritto da Melville “titanico e biblico”. «In altre opere, come Typee, Omoo e White Jacket, vediamo Melville ispirarsi maggiormente alle proprie esperienze autobiografiche. Moby Dick, invece, possiede una qualità stilistica molto alta spesso paragonata al linguaggio biblico». Nell’ormai celebre incipit di Moby Dick, infatti, viene presentato il narratore, Ismaele: è attraverso i suoi occhi e le sue parole che viene descritta l’intera impresa. Un narratore onnisciente che si presenta con la nota frase “Chiamatemi Ismaele” (Call me Ishmael), il nome che nel libro della Genesi è uno dei figli del patriarca Abramo. Moby Dick racchiude dunque in sé caratteristiche di un’autobiografia spirituale, di un saggio sulla caccia alle balene, di una potente allegoria sugli archetipi del bene e del male ma anche di un vero e proprio poema epico. «Nonostante le caratteristiche epiche, assolutamente evidenti, – ci dice ancora Vita Fortunati – Melville tenta di mantenere un costante equilibrio tra realtà e simbolo in cui l’esperienza personale si carica di significati universali. Rispetto ad altri autori in cui l’allegoria è decisamente più forte, Herman Melville mantiene una carica di realismo contrapponendola al simbolo. Per certi versi può essere infatti paragonato a Conrad, soprattutto per il particolare rapporto con il male e per la sfida dell’uomo con le forze primitive della natura, l’immensità dell’oceano e il terrore dei suoi mostri».
Commentiamo infine con Vita Fortunati l’importanza legata al bianco, il colore di quella balena tanto odiata da Achab, stupendamente descritto da Melville: «Il bianco è un colore particolare perché racchiude diversi significati: da una parte rappresenta la virtù, l’innocenza, la grazia, il divino, ma in Moby Dick è spesso presente un’altra prospettiva che intreccia tali significati con una sensazione di vuoto, di nulla, di morte. Per questo, come descrive perfettamente Melville, il bianco racchiude nello stesso tempo una sorta di fascino e di terrore».
(Claudio Perlini)